Vino senza pace. Bufera su Brachetto, Moscato e Gavi. In Piemonte, con l’uva, si vendemmiano liti, divisioni e vendette

inserito il 6 Settembre 2015

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Piemonte terra di eno-litigi. L’ultima in ordine di divulgazione è la bufera sul Brachetto. A vendemmia quasi finita, infatti, ancora non sono state fissate rese e prezzi delle uve che diventano l’unico vino rosso, dolce a docg piemontese. I motivi li hanno spiegato, in una conferenza stampa ad Acqui Terme, il presidente del Consorzio, Paolo Ricagno, con i due vicepresidenti, Alberto Lazzarino (parte industriale) e Elio Pescarmona (parte agricola). «Non c’è l’accordo interprofessionale che fissa rese e prezzi delle uve perché non c’è intesa sul piano di rilancio» ha detto Ricagno. Gli hanno fatto eco Lazzarino e Pescarmona: «C’è un progetto triennale che serve a rilanciare il Brachetto. Non si può buttare tutto all’aria nel primo anno utile per riconquistare i mercati». Il nodo è la resa. Lo scorso anno si era deciso per 30 quintali/ettaro con un prezzo di 0,88 euro al chilogrammo. Il reddito dei viticoltori era andato a circa 5.500 euro ad ettaro, comprensivo delle eccedenze. Niente a confronto di quanto ha fatto guadagnare un vino che, all’epoca d’oro, ha fatto intascare anche 20 euro al miriagrammo. Ma, complice la crisi e la congiuntura globale, ora le cose sono diverse. A fronte del rischio di perdere la denominazione si sono abbassati rese e prezzi in modo che le Case spumantiere potessero riposizionare sul mercato il prodotto.

Un sacrificio accettato da tutta la filiera. Ci sono stati risultati? Il Consorzio dice di sì. «Abbiamo un +4% rispetto allo scorso anno» hanno detto Ricagno, Lazzarino e Pescarmona che, in sostanza, chiedono un aumento della resa 2015 a 36 quintali/ettaro e un prezzo uguale allo scorso anno. Richiesta supportata da Cia, Confagricoltura e Confocooperative, ma fortemente avversata da Coldiretti e Assobrachetto. Risultato: la Regione Piemonte, che dovrebbe firmare la determina per ratificare gli accordi professionali tra le parti, ha congelato tutto, a vendemmia quasi finita. «Non è bello non sapere quanto sarà pagato il tuo lavoro dopo che lo hai terminato» commentano i vignaioli a SdP. «Si chiede una diminuzione di oltre il 50% della resa da disciplinare (che è 80 quintali/ettaro ndr). Quindi, affinché la Regione la conceda ci deve essere unanimità di tutta la filiera» ha spiegato ai giornalisti l’assessore regionale all’Agricoltura, Giorgio Ferrero.

Anche il fronte dei Comuni del brachetto è spaccato. Da Acqui Terme, capitale della zona di produzione sventolano una delibera che accetta le proposte consortili. Celeste Malerba, già sindaco di Sessame e oggi primo cittadino di Bistagno, due centri agricoli nel cuore dell’area del brachetto, tra i fondatori di Assobrachetto, è critica: «Così non si va da nessuna parte. L’assessore ha ragione. Una resa da 36 quintali/ettaro è una vergogna. Cambiamo la dirigenza del Consorzio e ripartiamo da zero». Il rischio, ora che i tempi sono strettissimi, è il mercato libero. «Il prezzo dell’uva crollerà. I viticoltori perderanno 2.500 euro ad ettaro e la zona oltre 2 milioni», assicura Ricagno. Bianca Viotti, giovane imprenditrice vitivinicola di Castel Rocchero, altro centro viticolo del Brachetto, avverte: «Questo stallo sta costando alla mia azienda 20 mila euro. Mettiamo da parte le divisioni e rifondiamo il mondo del brachetto». Interpellato si muove anche Massimo Fiorio, deputato astigiano vicepresidente della Commissione Agricoltura della Camera che assicura mediazione. Si vedrà. Intanto la vendemmia è agli sgoccioli e le aziende a giorni dovranno “fare le fatture” dell’uva ritirata. Quali cifre metteranno alla voce resa e prezzo ancora non si sa.

Altra situazione di stallo è quella del Gavi. La vicenda è quasi una fotocopia del brachetto, con qualche distinguo. Qui il fronte agricolo è compatto, Coldiretti compresa, ma a fare le bizze sarebbero gli imbottigliatori, la f.lli Martini di Cossano Belbo su tutti, ai quali non starebbe bene il prezzo delle uve che oggi è attestato a un euro al chilogrammo. Anche in questo caso, se non ci sarà accordo, il rischio è il mercato libero con il crollo dei prezzi delle uve a danno dei viticoltori.

Invece il moscato, la cui raccolta sta terminando in questi giorni, l’accordo ce l’ha. Fissa 100 quintali per ettaro e il prezzo di un euro al chilogrammo dell’uva. Ma a fare litigare le parti sono due temi: il blocage/deblocage, cioè la possibilità di sbloccare, qualora servisse, un quantitativo eccedente di uve da far passare alla quota docg, e il “caso Asti”, cioè l’annosa querelle di fare entrare la città di Asti (insieme ai 22 ettari che il gruppo Zoonin ha proprio da quelle parti) nella lista dei Comuni del Moscato dove si coltiva l’uva docg, fino ad oggi limitata a 52 centri tra le province di Asti, Alessandria e Cuneo. Per quanto riguarda il blocage/deblocage, la contrapposizione è tra Consorzio, Case spumantiere, Cia, Confagricoltura, Confcooperative e Agrinsieme (raggruppa una parte dei viticoltori) che sono favorevoli, e Coldiretti e Assomoscao (altra associazione di vignaioli) che sono contrari.

Anche in questo caso siamo allo stallo. L’altra vicenda si trascina da anni ed è segnata da ricorsi e controricorsi, denunce e indagini. L’ennesimo colpo all’immagine del vino piemontese. L’ultimo atto è la sentenza del Consiglio di Stato che ha bocciato il ricorso presentato dal gruppo Zonin. L’Asti non si può fare ad Asti. È stato, però, lo stesso Gianni Zonin ad annunciare che farà ricorso alla corte europea. Lo spauracchio è che si evochi precedenti eno-territoriali come il Tokaj, il vino ungherese che dopo essere stato prodotto per oltre un secolo anche in Italia, ha avocato alla sola zona di Tokaj, in Ungheria, il diritto di produrlo con quel nome, con buona pace dei vignaioli friulani. O del Prosecco che ha blindato la propria denominazione allargando la zona di produzione del veneto addirittura fino al paesino di Prosecco che è in Friuli. Insomma Zonin dice che andrà in Europa a cercare la sua giustizia e si sa che quando la Ue si interessa di cose italiane fa sempre danni.

E a proposito di Prosecco, di cui i piemontesi sono tra i maggiori imbottigliatori, il “fenomeno” nonostante il maldipacia di alcuni produttori (leggete qui), non sembra dare segni di cedimento (leggete qui). Sarà mica perché veneti e friulani non litigano?

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)


 

4 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. Massimo Pastura 9 Settembre 2015 at 19:49 -

    Vogliamo parlare della situazione Barbera d’Asti… qui non c’è paritetica, non c’è mai stata, ma sono ormai anni che il prezzo uve si attesta a € 0,50/0,60 al Kilogrammo, che con resa a 90 q/ettaro significa un reddito lordo fra i 4.500 ed i 5400 euro ad ettaro… ribadisco REDDITO LORDO! E tanto per ricordare la proprietà media nella DOCG Barbera d’Asti è inferiore a 2 ettari pro-capite… Come si sopravvive??? Ah… poi non scandalizziamoci quando si vede la Barbera nei supermercati LIDL, ALDI, REWE… a 2 euro a bottiglia…

  2. filippo 6 Settembre 2015 at 21:51 -

    Del resto i Consorzi di tutela dei vini piemontesi non è che abbiamo mai brillato per chiarezza e tempestività di comunicazione… qualcuno addirittura è “muto” dalla nascita

  3. M.Marasso 6 Settembre 2015 at 19:16 -

    Vorrei solo sapere dove sono state prese le notizie sulla paritetica del gavi,sulle bizze degli industriali , sul prezzo delle uve e sul probabile crollo del gavi. Notizie e considerazioni al quanto discutibili. Prima di scrivere sarebbe bene informarsi anche dai diretti interessati. Grazie

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