Vino imbottigliato. La denuncia di Confagricoltura Asti: «La Cina fa concorrenza sleale. Italia e Ue corrano ai ripari»

inserito il 16 Aprile 2013

Il meccanismo è semplice: la Cina aumenta le accise sui vini stranieri imbottigliati, poi compra e importa vino sfuso dai Paesi produttori, lo imbottiglia sul territorio cinese e lo rivende a prezzi tre volte inferiori a quelli delle bottiglie che arrivano da Europa, America, Africa e Australia. Risultato: un business che accontenta solo i cinesi a scapito degli altri.

Il direttore di Confagricoltura Asti, Franco Giaquinta

Il direttore di Confagricoltura Asti, Franco Giaquinta

La denuncia è del direttore di Confagricoltura Asti, Franco Giaquinta, che analizza con amarezza: «La Cina non è vicina al business del vino italiano e la Ferrari, da sola, non basta, nonostante le recenti vittorie sportive, a imporre la leadership del “made in Italy” nel Paese della Grande Muraglia. Lì, infatti, si stanno sviluppando marchingegni commerciali che rischiano di affossare l’enologia italiana».

Un allarme che arriva, significativamente, a pochi giorni dalla chiusura del Vinitaly, il salone enologico internazionale di Verona.

«Il fatto è – aggiunge Giaquinta – che per aggirare le altissime accise che le autorità cinesi hanno imposto sul vino in bottiglia straniero (oltre 250%) si stanno sviluppando società che acquistano vino sfuso italiano o di altri Paesi produttori, come Cile, Usa, Sud Africa e Australia, lo imbottigliano in Cina, aggirando in maniera consistente le accise che vengono abbattute di oltre l’80%, rivendendolo a prezzi fortemente concorrenziali rispetto ai prodotti già confezionati che arrivano dall’estero».

Ma come si ripercuote questa situazione sul mercato? Le cifre che arrivano da Confagricoltura Asti sono impressionanti. I buyer con gli occhi a mandorla stanno chiedendo alle cantine italiane vini a 1,20 euro a bottiglia. Un prezzo insostenibile per i produttori italiani e piemontesi in particolare che, qualora accettassero le proposte, si vedrebbero costretti a lavorare in perdita. Ecco quindi aprirsi le porte all’importazione in Cina di vino sfuso che ha accise inferiori e consente ai cinesi, che lo imbottigliano in loco, ampi margini di guadagno, ma soprattutto di occupare spazi di mercato tra i più importanti a livello mondiale.

«Trovare una soluzione in un mercato globalizzato non è facile – avverte il direttore di Confagricoltura Asti -. Tuttavia – aggiunge –, in mancanza di una via di uscita che tagli la strada a questa concorrenza sleale messa in atto da Governo e operatori cinesi, l’Italia e la Ue dovrebbero, come contropartita, ipotizzare di gravare di accise i prodotti che arrivano dalla Cina, agroalimentare in prima fila, in modo di riequilibrare gli effetti negativi di una bilancia commerciale che pende un po’ troppo a favore dei cinesi. Siamo tutti felici – annota il direttore di Confagricoltura Asti – dei successi della Ferrari in campo sportivo e del fatto che la Cina sia il primo mercato della Casa del Cavallino, ma l’Italia è un paese la cui produzione industriale è articolata su vari fronti. Accontentarsi di difenderne uno a scapito di altri, altrettanto strategici, sarebbe un grave errore. Specialmente in un momento di recessione come quello che stiamo attraversando».

Sdp 

 

 

 

3 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. Adriano Salvi 16 Aprile 2013 at 15:07 -

    Gli italiani compreranno vini a costo irrisorio? Statistiche alla mano lo fanno già……ci saranno pure i raffinati e modaioli “wine lover” (sigh) che hanno ancora il portafoglio non vuoto, ma il grosso dei consumatori tricolori (pare il 70%) compra e consuma principalmente Tavernello, Castellino, Ronco e similari….più o meno al prezzo di una bibita…..Se arriveranno i vini cinesi, causa trasporto potrebbero anche costare di più…..quanto alla Ferrari la possono comprare solo i nuovi ricchi dei Paesi ex morti di fame…e loro vanno giustamente a cercarli….o tempora o mores….PROSIT

  2. filippo 16 Aprile 2013 at 15:01 -

    Caro Fabrizio, prima di tutto grazie del commento, ma ho il sospetto che la cosa sia più complicata. Intanto ho dubbi sui “vinacci” cinesi. Ci sono aziende italiane che da anni hanno impiantato proprio in cina vigneti e stabilimenti dove lavorano enologi che il vino lo sanno fare bene. Non so se, in futuro, berremo vino cinese. Intanto, però, dovremo fare in modo che i cinesi bevano sempre più vino italiano, in bottiglia possibilmente. Il fatto è che la Cina, per ora, sembra beffarsi di accordi e regole internazionali. Per la verità, in campo vinicolo, lo fanno anche altri grandi Paesi, Usa in testa. La Ue, da parte sua, dovrebbe una buona volta lasciare da parte le liti interne e tutelare meglio la propria produzione agroalimentare. Invece la sensazione è che gli europei navighino a vista. E gli altri ne approfittano… p.s.: il mercato globalizzato è una balla colossale… come sempre, da millenni, da quando ci sono i commerci, vince chi è più furbo e più accordo a non farsi fregare… o almeno a non farsi fregare completamente…

  3. Fabrizio 16 Aprile 2013 at 14:38 -

    Se non altro chi beve male sono i cinesi: preoccupiamoci quando arriveranno i loro vinacci sulle ns tavole e gli italiani sceglieranno quello solo per il costo irrisorio. O quando spaccieranno il bonarda o il chianti come originale.

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