
La crisi del vino piemontese? Colpa di quelle cantine sociali sull’orlo del fallimento e sempre a caccia di danari pubblici. La ricetta? Più sinergia, marketing, export, tutela e educazione alimentare. Angelo Gaja interviene a tutto campo sulla crisi del vino piemontese e italiano.Tirato per giacca dagli avvenimenti della cronaca, con il mondo delle cantine sociali e dei consorzi di tutela piemontesi che si mobilitano per lanciare appelli a favore dei vini rossi stritolati dalla crisi economica che colpisce duro anche in vigna, il “re del Barbaresco”, fondatore di una griffe enologiche italiane più celebrate con vigneti nelle Langhe piemontesi, ma anche i Toscana, aveva inviato una lettera ai mezzi di informazione.
Nella missiva, intitolata in originale “Crisi astigiana”, si accusava senza mezzi termini il 50% delle cantine sociali di avere portato avanti gestioni finanziarie e commerciali fallimentari riconoscendo all’altro 50% di avere «fatto brillare i vini piemontesi».
Ha scritto Gaja: «A chi giova, dopo trent’anni, continuare a sostenere questo 50% di cantine sociali sempre sull’orlo del fallimento? Di quale utilità sono state per i loro soci viticoltori? Perchè i figli dei soci viticoltori non possono mettersi in proprio cessando di conferire le uve alle cantine sociali che nonostante il sostegno pubblico restano irrimediabilmente decotte? Non è che la cattiva immagine di queste cantine oscuri il restante 50% di cantine cooperative efficienti che hanno invece contribuito a fare brillare il Piemonte? Come fare capire che il denaro pubblico non può continuativamente essere destinato a sostenere una causa persa? Perchè le cantine cooperative virtuose sono andate al traino della richiesta insensata di produrre dal 2010 maggiore quantità quando il mercato era già largamente inflazionato dalle eccedenze? Quali sono i passi da fare per avviare un cambiamento e voltare finalmente pagina? In effetti le domande sono retoriche, perchè le risposte si conoscono da tempo. Lo spreco del denaro pubblico suscita fiammate di scandali ben presto sopite, senza che si avviino provvedimenti consequenziali. I succhiatori di denaro pubblico si sono organizzati e costituiscono una armata affamata e difficile da contrastare. L’esubero di produzione ha fatto comodo a molti, anche agli imbottigliatori che possono continuare ad acquistare all’ingrosso a prezzi stracciati. Le responsabilità politiche sono elevate. I viticoltori sono vittime di un meccanismo perverso. La DOC Piemonte non è mai stata così svilita. Non è consolante pensare che tutto continui a restare come prima.».
Ma non finisce qui. L’eno-tycoon delle Langhe sarebbe in procinto di dare alle stampe un altro intervento. Questa volta più calibrato sulla politica economica del settore del vino a livello nazionale. Il titolo, secondo quanto ha potuto ricostruire Sdp, sarebbe “crisi e mercato globale azzoppano l’agricoltura italiana”.
Giovedì ne ha parlato in piazza Alfieri ad Asti anche il presidente della Vignaioli Piemontesi, Giulio Porzio. Che non ha risparmiato critiche, senza mai citarlo, a Gaja, rispedendo al mittente le accuse «di certi soloni che prima ci indicano come sciupatori di denaro pubblico e poi danno alle stampe analisi dove dicono che la crisi economica era imprevedibile».
Ecco il video dell’intervento di Porzio ad Asti.
L’intervento di Giulio Porzio presidente Associazione Vignaioli Piemontesi
Nel documento, che secondo nostre fonti potrebbe essere pubblicato già domani su un quotidiano a tiratura nazionale (si parla di Libero diretto da Maurizio Belpietro e dove scrive l’ex direttore del Giornale, Mario Giordano, tra l’altro di origini canellesi), Angelo Gaia ammetterebbe che la crisi del vino italiano è figlia di una congiuntura mondiale che neppure gli economisti premi Nobel avevano previsto, prendendosela con gli agropirati che taroccano il vero made in Italy.
Quindi indica i punti su cui ragionare: la qualità media dei prodotti alimentari italiani, il rapporto tra qualità e prezzi, la necessità dei produttori a favorire la vendita a chilometri zero e di aggregarsi per migliorare l’offerta, l’urgenza di frequentare di più e senza diffidenza il marketing, dirottare gli aiuti pubblici sul potenziamento dei mercati esteri e sulla ricerca di nuovi sbocchi, intendere l’export come un’ossessione commerciale, migliorare la tutela dei marchi italiani all’estero.
Gaja sosterrebbe nella sua lettera anche l’esigenza di superare l’imperativo tout court del No Ogm per privilegiare l’educazione dei contadini ad una agricoltura sostenibile e rispettosa della natura e dei clienti a preferire cibi con etichette chiare.
E lamenterebbe anche l’assenza di azioni di valorizzazione dei prodotti tipici nelle catene di Gdo, la grande distribuzione organizzata, di azioni a favore dei prodotti tipici italiani.
Unica eccezione Eataly New York appena aperto da Oscar Farinetti a due passi dalla Quinta Strada nel cuore della Grande Mela. «È una vetrina importantissima per le nostre eccellenze enogastronomiche» avrebbe scritto il produttore di Barbaresco.
Infine nella lettera ci sarebbe l’appello a definire un marchio che certifichi le produzioni alimentari artigiane interamente realizzate in Italia. Un progetto da lanciare con il contributo non solo degli artigiani del gusto, ma anche delle associazioni di categoria, sindacali e del commercio. «Perché – spiegherebbe Gaja – proteggere il lavoro fatto in Italia è compito di tutti».
Queste ultime parole fanno pensare ai cugini d’Oltralpe. I francesi, spesso accusati di essere nazionalisti bisbetici e fuori moda, hanno sempre praticato la difesa dei prodotti nazionali, vini in testa.
Forse perché hanno capito prima e meglio degli italiani che è lì che si gioca una parte importante della partite economica-sociale del Terzo Millennio.
È ora che anche gli operatori del vino nostrani, piemontesi in primis, comincino a capire qualcosa. Magari smettendola di litigare e di darsi martellate sulle… ginocchia.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)
Come non poter dare ragione a Gaja???????
E’ forse ora che in Piemonte ci rendiamo conto di avere un uomo che come pochi altri ha dimostrato a quali livelli di eccellenza i terreni delle nostre colline sanno portare i vini che produciamo o dobbiamo continuare ad ascoltare gente che si fà forte di poche centinaia di Hl di vino secondo loro “super” e poi migliaia di migliaia di hl di vino “svenduto” a pochi centesimi pur di “svuotare” le cantine.
Ho già rivendicato più volte su questo blog che la valorizzazione parte dal “territorio” e non dal vitigno: francesi, spagnoli, austriaci, tedeschi… lo hanno imparato e persino oggi il nuovo mondo insegue questo obiettivo (in California i produttori sono ben attenti nell’indicare in etichetta NAPA anziche SONOMA o RUSSIAN RIVER…) mentre noi invece restiamo ancorati al fatto che “la mia barbera è più buona di quella del mio vicino… e sopratutto costa meno”.
Ovviamente parlando di cantine sociali non possiamo far di tutta l’erba… un fascio… ma purtroppo, ed ahimè purtroppo in quanto le cantine sociali in alcune zone rappresentano oltre l’80% della produzione… molte, troppe… si sono comportate in questo modo.
Spero che il messaggio del Signor Angelo venga raccolto e portato avanti…
E sinceramente io personamente avrei un pò vergogna di accusare un produttore che è riconosciuto in tutto il mondo per l’eccellenza dei suoi vini… ed è piemontese (forse qualcuno se lo stà dimenticando che Gaja produce principalmente vini piemontesi).
Dobbiamo allora forse sostenere coloro che vendono la Barbera all’ingrosso a 20 centesimi al litro oppure le bottiglie agli Hard-discount a circa 1 Euro?????
Senza contare poi alcune cantine sociali che fregiandosi di blasoni di eccellenza ottenuti sulle guide si presentano poi sul mercato a vendere 600 bottiglie di Barbera ad 1,5 Euro alla bottiglia…
E’ questa la valorizzazione che vogliamo dare alle nostre terre, alle nostre uve… ed agli immani sforzi per cercare di portare nel mondo un messaggio di qualità dei nostri vini???
Non abbiamo sempre detto che se la Barbera, soprattutto astigiana, è riuscita a ricavarsi alcuni spazi e riconoscimenti sui mercati internazionali è stato grazie ad un lungimirante uomo che si chiamava Giacomo Bologna???
Quanto ci manca quell’uomo… e quanto poco abbiamo imparato da lui.
E poi caro Filippo… vuoi mica che noi italiani dobbiamo imparare qualcosa dai nostri cugini francesi??? Infatti loro hanno incominciato a classificare i loro terreni (E NON I LORO VITIGNI…) solamente 100 anni prima di noi… Mah!!!