
È stata un’intervista emozionante, densa di sensazioni e questo non solo perché l’intervistato, Jeremy Parzen, è un caro amico che vediamo troppo poco, anche se il web ci tiene connessi, ma perché si tratta di un giornalista, blogger, comunicatore e consulente di marketing americano che sta a Houston in Texas e che vive in prima persona lo stravolgimento della società USA e gli scossoni all’assetto mondiale che la Presidenza Trump sta imponendo, non solo al mondo del vino.
Jeremy, che parla un italiano corretto e fluente e ha studiato in Italia, è autore di un seguitissimo blog, https://dobianchi.com/, che è un punto di riferimento negli States per chi ama il vino italiano. È stato anche docente all’Università delle Scienze Gastronomiche di Pollenzo e ha, per sua dichiarazione, un amore immenso per l’Italia e la sua cultura, in tutte le sue sue declinazioni.
Dunque abbiamo incontrato Jeremy al Vinitaly di Verona e non ci siamo lasciati scappare l’occasione per farci raccontare realtà e prospettive di un America spaccata in due, con da una parte il dogmatismo trumpiano di stampo suprematista, protezionista e autartico; dall’altro le paure delle minoranza, degli immigrati che rischiano l’arresto da parte degli agenti dell’ICE, l’Immigration and Customs Enforcement, agenzia federale statunitense, parte del Dipartimento della Sicurezza Interna degli Stati Uniti, responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione. «Ci sono stati casi terribili» dice Jeremy.
Poi ci sono i dazi sul vino straniero, europeo e italiano («Ma alla fine è il danno minore» scherza Jeremy), le borse che crollano, il costo della vita che aumenta sempre di più, il rischio di crisi istituzionali a causa delle decisione del Presidente, le manifestazioni di piazza, la rabbia della gente che spinge alla mobilitazione civile e sociale.
Insomma una situazione non facile, in veloce e imprevedibile evoluzione che dall’Europa sembra lontana, ma non lo è. Come tutte le cose del mondo.
Qui sotto l’intervista a Jeremy Parzen con le riprese e le fotografie di Vittorio Ubertone.
Filippo Larganà