«Questo sarà l’ultimo mio Vinitaly». Quante volte abbiamo pensato o detto questa frase, per poi smentirla. Lo avevamo detto e pensato anche l’anno scorso. E invece dal 6 al 7 ci siamo tuffati di nuovo nella kermesse eno-caciarona della città scaligera. Caciarona perché, nonostante le tante proteste e lagnanze, nonostante qualcuno pensi di fare del Veneto una nazione a parte, Verona accoglie gli ospiti del Vinitaly, italiani o stranieri che siano, nell’unico modo che sa: male. Anche quest’anno code in autostrada, cantieri stradali assurdi, attese fuori la fiera, collegamenti telefonici precari o assenti, wifi “nianca a parlar” (detto alla veneta), parcheggi e viabilità da da terzo mondo (sindaco Tosi quando toglierà quella discarica di macerie di fianco al parcheggio davanti alla Fiera? È lì da anni), accoglienza alberghiera ottima a patto che si scelga almeno a 30 chilometri dal cratere nero del Vinitaly.
Poi, per fortuna ci sono loro, i produttori di vino. Noi, per due giorni abbiamo vissuto il microcosmo del padiglione 10, quello del Piemonte. Sobrio per forza, data la spendig review regionale, con due cose che ci sono balzate subito agli occhi: l’assenza del Consorzio dell’Asti, che, a causa di mancanza di ristrettezze di risorse, ha rinunciato all’imponente stand degli scorse edizioni per gestire, nell’area regionale, uno spaccio AstiHour, gli aperitivi a base di Asti docg e succhi di frutta; e una certa desolazione della stessa area della Regione Piemonte, dovuta forse all’imminente campagna elettorale, preceduta da recenti scandali, che ha costretto molti politici a un basso profilo.
Per il resto i piemontesi ce l’han messa tutta. Se il Consorzio dell’Asti ha preferito una presenza minimal, altri Consorzi hanno mantenuto le posizioni. Su tutti quelli del Brachetto, con un murales fatto da giovani writers e una sagoma per farsi selfie fotografici brachettizzati; dei Vini d’Asti (Barbera) e del Gavi con degustazioni guidate e assaggi.
Di Cantine, piccole, medie e grandi, ce n’erano davvero tante. Qui abbiamo scelto una carrellata video di produttori di Brachetto con alcune originalità: la Tosti di Canelli che punta su Red Acqui come nuovo nome del vino rosso dolce dell’Acquese o la Banfi, colosso americano leader negli Usa, che apre a nuove occasioni di brindisi.
Non sono mancati gli eventi istituzionali. Quello organizzato da Agrinsieme, nuovo soggetto di rappresentanza agricola che riunisce Cia, Confagricoltura e mondo delle cooperative. Davanti a 600 persone hanno parlato (e noi li abbiamo intervistati) Mario Guidi, presidente nazionale di Confagricoltura e coordinatore di Agrinsieme, e Dino Scanavino, astigiano e presidente nazionale Cia. Hanno parlato un po’ in politichese, ma alla fine abbiamo capito che il loro messaggio è tutto sommato semplice: l’agricoltura e la vitivinicoltura sono una chance per l’Italia in crisi, se le sfruttiamo bene okkei, senno perdiamo anche questo treno. Perciò ragazzi stiamo in campana e chissà che il messaggio il ministro Martina, che era al Vinitaly ma non abbiamo incrociato, lo porti diretto a Renzi.
Chi, invece, l’agro-messaggio lo ha assimilato bene è un altro intervistato, Massimo Fiorio, parlamentare astigiano e vicepresidente della Commissione Agricoltura della Camera, che è relatore della lette testo sulla vite e seul vino, una sorta di eno-vangelo che dovrebbe cambiare e forse snellire le regole del mondo del vino. Lo abbiamo intervistato. Ha messo un po’ le mani avanti, ma alla fine del buono nel tetso della legge dovrebbe esserci.
E c’è stata anche la presentazione, non senza le polemiche a cui il mondo del moscato ha abituato, di Agrinsieme Moscato, associazione di viticoltori e cantine nata nel Sud Piemonte dalla sinergia di Cia, Confagricoltura e cooperative. Coldiretti e Assomoscato non l’han presa bene e già in queste settimane son fioccate reciproche accuse. Il presidente, Pietro Cirio e l’assessore regionale all’Agricoltura, Claudio Sacchetto, hanno provato a buttare acqua sul fuoco. Basterà?
Abbiamo anche fatto un giro tra gli standisti a coglierne gli umori. Ne è nato un mosaico di dichiarazioni lampo che hanno disegnano un Vinitaly ancora in vena di ottimismo, con proiezioni favoreveli sia sotto il profilo commerciale che di valorizzazione dei vini piemontesi.
Tuttavia non sono mancate venature di cautela che dimostrano quanto il comparto sia consapevole della crisi economica e si sia attrezzato per superarla con i minori contraccolpi possibili.
Molti hanno definito Vinitaly una vetrina importante, che merita la presenza per consolidare contatti assodati e crearne di nuovi. Qualcuno si è sbilanciato e ammette di aver concluso qualche contratto. I più, però, hanno detto che scioglieranno le riserve solo a mesi dal Vinitaly.
Sullo sfondo, nonostante il ventaglio di idee e sentimenti diversi, resta la Grande Bellezza dell’Italia del vino, con le gigantografie di panorami mozzafiato, di cantine veri eno-santuari, di uomini e donne di tutte le età che hanno negli occhi una scintilla brillante: la passione per un mestiere che affonda le radici nella storia dell’Umanità e che, in ogni parte del mondo, significa ancora qualcosa di importante.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it) – fotografie e video di Vittorio Ubertone (400asa.com)
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