Manca una settimana al Vinitaly di Verona e già si parla di record. Nell’anno delle crisi, da quelle ambientali all’economia, dal sociale alla geopolitica, il vino continua ad essere prodotto che “tira”.
È voglia di evasione o ritorno alle radici della terra che ora sembrano più accoglienti di quelle del progresso tecnologico? Una risposta certa è difficile. Intanto diamo i numeri.
In coincidenza con il 150° dell’Unità d’Italia, alla 45ª edizione del Vinitaly di Verona, in calendario dal 7 all’11 aprile, il Piemonte partecipa con circa 600 espositori che occupano l’intero padiglione 9. «Una presenza di grandi dimensioni e proporzioni se pensiamo che gli espositori totali italiani ed esteri sono 4000» sottolineano dall’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte.
Del resto quella piemontese, per una volta, sembra essere una presenza forte e unitaria, organizzata e coordinata, oltre che dalla Regione e Unioncamere Piemonte, in collaborazione con le Camere di commercio, anche dalle Province, dall’IMA Piemonte e dalle organizzazioni dei produttori.
«Un Piemonte che propone i suoi grandi vini, che comprendono 18 DOCG e 41 DOC, le sue aziende, i suoi territori del vino, le azioni e i progetti per tutelare e valorizzare questo patrimonio» sostengono Claudio Sacchetto, assessore regionale all’Agricoltura del Piemonte e Ferruccio Dardanello, presidente Unioncamere.
A rischiare di guastare la festa ci sono i maldipancia del settore vino piemontese. Le diatribe nei consorzi di tutela, che ancora non riescono a trovare equilibrio al loro interno con molte, troppe, spinte centrifughe verso cosa ancora bene non si sa; la crisi di un mercato che ancora stenta a decollare, tranne le eccezioni di Asti e Moscato docg che nonostante tutti e tutto, continuano a macinare volumi e vendite; un eno-marketing sfilacciato, senza un quadro d’insieme, dove impera il tutti contro tutti e l’ognuno per sé.
Le voci positive? Poche: il progetto Unesco che candida i presagi vitivinicoli piemontesi a patrimonio dell’Umanità che è in dirittura d’arrivo e che, però, prontamente è stato copiato da altre aree vinicole italiane e francesi (Champagne); il crescente favore con cui i mercati stranieri accolgono i vini italiani, spesso venduti a prezzi inferiori dei competitor.
Chiudiamo con l’ennesimo appello che Giuseppe Martelli, presidente di Assoenologi ha affidato ad un’intervista pubblicata in questi giorni sul sito del Vinitaly: «L’Italia del vino deve superare i personalismi e gli individualismi, potando oltre alle viti i campanili». In Piemonte dovrebbero essere portate anche alcune teste.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)