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Unesco e vigne piemontesi. Candidatura ok, ma da “aggiustare” e ripresentare. Fa discutere il moscato non autoctono

Esami di riparazione per la candidatura a patrimonio dell’Umanità dei paesaggi vitivinicoli piemontesi. Il progetto ha bisogno di aggiustamenti. E sarà ripresentato con ottime possibilità di essere accettato, forse, già nel 2013. È quello che si evince dal rapporto di una trentina di pagine elaborato e messo on line in questi giorni dall’Icomos, l’ente che, come l’Unesco, ha sede centrale a Parigi, e che per l’Unesco esamina le candidature dei siti mondiali che aspirano ad entrare della lista dei patrimoni dell’Umanità e ne dà un parere consultivo di cui l’ente per la tutela dei beni mondiali può o meno tener conto.

Dunque cosa dice l’Icomos? Dice che la candidatura dei paesaggi vitivinicoli del Piemonte ha valore mondiale, ma che il dossier, presentato dal Ministero italiano e alla cui composizione hanno partecipato Regione Piemonte, le province di Asti (da cui è partita l’idea della candidatura), Cuneo e Alessandria insieme a Comuni. Fondazione Progetto Unesco e altre associazioni locali, andrebbe rivisto per poter essere ripresentato tra almeno un anno, ed essere approvato senza ulteriori variazioni.

Considerazioni spiegate anche nel comunicato diffuso in questi giorni da Ugo Cavallera, vicepresidente della Giunta regionale piemontese. Che, tra le altre cose, scrive nella nota: «È consuetudine nelle procedure di candidatura richiedere approfondimenti finalizzati alla continuazione del processo valutativo. Pertanto il gruppo di lavoro costituito da Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Piemonte, Provincia di Alessandria, Asti e Cuneo, Associazione Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli e SITI, sta valutando le strategie da adottare per ottenere il riconoscimento ufficiale dell’UNESCO. Nei prossimi mesi sarà necessario adeguare il progetto alle osservazioni per rendere congruente il valore universale riconosciuto con i perimetri delle “core zone” in modo da riportare la candidatura all’attenzione dell’UNESCO già nel 2013».

Tanto è bastato perché qualcuno già parlasse di “delusione”, trasmettendo un messaggio, come dire, pessimistico sull’intero progetto che è possibile consultare a questo indirizzo: http://www.paesaggivitivinicoli.it/.

Sdp ha chiesto un’opinione ad Annalisa Conti, canellese, assessore della Provincia di Asti, che segue la candidatura fin dai primi tempi.

«Parlare di delusione o di occasione persa mi sembra francamente controproducente oltre che non corretto – dice -. Il fatto è che l’Icomos confermi il valore della candidatura è un successo senza precedenti ed è quello che ci aspettavamo, io e gli altri rappresentanti degli enti pubblici e non coinvolti in questa iniziativa. È, infatti, raro che Unesco approvi tout-court i progetti di candidatura e li inserisca. Il protocollo più diffuso è quello di analizzare il dossier, trovarne gli eventuali punti deboli, e dare la possibilità a chi lo presenta di “aggiustare il tiro” e ripresentare una candidatura a prova di critica. È quello che ci ha segnalato Incomos e di quel che dovremo fare parleremo in questi giorni in un summit già predisposto a cui parteciperanno Ministero, Regione Piemonte e Province. Per quanto mi riguarda sarei dell’opinione di accogliere il consiglio Icomos e ridefinire il progetto secondo le indicazione Icomos».

Ma quali sono queste indicazioni? Sostanzialmente i consiglieri dell’Unesco suggeriscono di ridefinire i confini di un’area considerata troppo vasta e, a tratti, disomogena. Ma avanzano anche rilievi quanto meno discutibili.

Come quello che ritiene la produzione dell’Asti docg con il metodo champenoise una mera rivisitazione della vinificazione inventata nella regione della Champagne e che dà origine al famoso vino francese (anche quei paesaggi, dopo quelli piemontesi, hanno presentato candidatura all’Unesco) senza considerare che diverso è il vitigno (il dolce moscato bianco invece di chardonnay, pinot nero e pinot meunier, utili per vini secchi), diverse alcune tecniche di lavorazione in autoclave (metodo Martinotti-Charmat), il concetto di consumo e posizione sui mercati.

Altro appunto bizzarro da parte di Icomos quello secondo cui il vitigno moscato bianco non sarebbe autoctono del Sud Piemonte, ma di una ampia fascia di Sud Europa. Un tema, quello dell’origine piemontese del moscato bianco (fino a poco tempo fa indicato in ampelografia come moscato bianco di Canelli) confortato da importanti studi e studiosi. Come Patrizia Cirio, storica dell’industria vinicola che dice: «la coltivazione di moscato bianco è rilevabile in testi e testimonianze che cominciano fin dalla dominazione romana». E come Anna Schneider, docente universitaria per l’Istituto di Virologia Vegetale del Cnr a Grugliasco (Torino) che ha più volte dichiarato il vitigno moscato bianco da secoli “chiave” dello sviluppo vinicolo tipico proprio del Piemonte dove si coltivano ben 13 mila dei 27 mila  ettari di moscato bianco piantati in Europa.

(foto: Vittorio Ubertone)

Detto questo sembra proprio che l’appuntamento tra i paesaggi vitivinicoli piemontesi e la loro proclamazione a Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco sia solo rimandato. Se poi gli aggiustamenti saranno fatti in collaborazione con l’Icomos, come lo stesso ente suggerisce in coda al proprio dossier, allora l’esito positivo potrebbe essere davvero certo.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

View Comments (5) View Comments (5)
  1. @Claudio: nessuna difesa di campanile, tuttavia noi italiani il vizio di darci delle martellate sui cosiddetti ce l’abbiamo. Ho visto siti Unesco in immagine e siti Unesco dal vivo. Italiani e stranieri. Beh, la realtà qualche volta è un inferiore alla sua rappresentazione. Tuttavia nel caso dei paesaggi vitivinicoli piemontesi le brutture ci sono eccome… ma non per questo è stata chiesta l’aggiustatina. L’ente consulente Unesco chiede una zona meno ampia proprio per tutelare l’originalità del sito. Una prassi che mi dicono sia abituale per Unesco che preferisce non promuovere tutti alla prima botta, ma alla seconda o, come è successo per le Dolomiti, alla terza. Della serie: mai al primo appuntamento… certamente il lavoro da fare è ancora tanto, ma il Piemonte deve crederci.

  2. Se da un lato, come ho già avuto modo di sottolineare più volte, sarei felice se queste colline fossero inserite nel patrimonio Unesco, dall’altro (nel caso di un rifiuto) vorrei vedere i volti di tutti coloro che si sono fatti belli per anni con la semplice candidatura e che però non hanno mai affrontato davvero la questione occupandisoi del territorio come di un reale candidato Unesco, guardandolo con occhi diversi (quindi proteggendolo), ma hanno continuato imperterriti a concedere licenze edilizie o progettare piani residenziali e industriali quanto meno inopportuni, se davvero si punta all’ambito riconoscimento. Basta dare un’occhiata ai criteri applicati dall’Unesco per concedere l’imprimatur per notare come in ogni condizione ci siano gli aggettivi “eccezionale”, “unico” o “straordinario”. Ma noi siamo davvero sicuri di poterceli permettere (al di là del semplice tifo da campanile)?
    La politica difende sé stessa – è ovvio – ma quando a un progetto viene richiesta “l’aggiustatina”, già significa implicitamente che occorrerà trovare un compromesso. Date un’occhiata alle immagini dei siti Unesco sparsi per il mondo e fate un paragone…

  3. @ Filippo. Agricoltura, Industria, Territorio, Cultura: le quattro colonne che sostengono la casa del Moscato d’Asti e dell’Asti Spumante. Se manca una colonna la casa va giù o sta sbilanciata…ma quanti anni e quanta fatica per arrivare a far comprendere questo e ….non a tutti.

    Buon Moscato d’Asti
    giovanni bosco

  4. @Giovanni: concordo sull’importanza del recupero dei sorì, anche da un punto di vista produttivo, oltre che storico-geologico. Sulle schiene curve dei contadini (come si vede, Giovanni, che sei un pavesiano di lungo corso…) e le cantine storiche canellesi, per conto mio sono complementari le une alle altre. I contadini non avrebbero avuto reddito e crescita sociale se non ci fossero state le Case spumantiere, e viceversa le cantine storiche non avrebbero avuto quella materia prima originale e pregiata che è il moscato bianco di Canelli, autoctono di questa zona, checché ne dicano gli esperti francesi dell’Icomos, che ha permesso loro di conquistare mercati e business.

  5. Come sarà importante tutto il lavoro che la “Commissione Qualità Moscato” sta facendo per la valorizzazione dei così detti “sorì”!!!!! “Se sapevo dei “sorì del Moscato d’Asti” l’avremmo messo tra i primi punti della domanda per l’Unesco” (Dottor roberto CERRATO Presidente Associazione per il patrimonio dei paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato). La chiave della zona dell’Asti Spumante stà tutta lì. Se non ci fossero stati i “sorì”, le schiene curve e i piedi che guardano all’insù dei nostri eroici contadini, forse non ci sarebbero state nemmeno la cantine storiche di Canelli.
    Chissà se sarà la volta buona.
    Buon Moscato d’Asti
    giovanni bosco
    presidente CTM

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