La Bosca di Canelli è stata la prima storica cantina vinicola piemontese a coniugare vino, arte e cultura. Oggi torna a quel concetto, mai abbandonato, con un progetto che unisce tecnologia fotonica, storia, arte e patrimonio Unesco. Le occasioni per presentare questo nuovo modo di comunicare il proprio lavoro, la propria storia, i propri prodotti (l’immancabile termine inglese di moda è story telling) sono state due: il recente riconoscimento Unesco di Patrimonio dell’Umanità ai paesaggi vitivinicoli piemontesi (la candidatura partì oltre 15 anni fa proprio da Canelli), e l’Anno internazionale della Luce e delle tecnologie basate sulla Luce (IYL 2015) proclamato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Si legge del sito Unesco: «IYL2015 è un’iniziativa globale che mira ad accrescere la conoscenza e la consapevolezza di ciascuno di noi sul modo in cui le tecnologie basate sulla luce promuovano lo sviluppo sostenibile e forniscano soluzioni alle sfide globali ad esempio nei campi dell’energia, dell’istruzione, delle comunicazioni, della salute e dell’agricoltura».
In questo ambito Pia, Polina e Luigiquarto Bosca, i figli di Luigiterzo Bosca scomparso improvvisamente un anno fa, hanno unito Unesco e IYL creando qualcosa di nuovo: un racconto per immagini, fatto atraverso la luce e la fotonica, proiettando immagini, filmati, colori, fotografie all’interno della Cantina Bosca che, insieme a quelle di Gancia, Contratto e Coppo, rappresenta il tassello originario delle Cattedrali Sotterranee da cui è nato il progetto Unesco.
SdP è stato testimone della presentazione di questa nuova tecnica di raccontare il vino piemontese, gli uomini e le donne che lavorano e che hanno lavorato per farlo crescere e conoscere in tutto il mondo.
Ma il bellissimo lavoro foto-culturale della Bosca non tragga in inganno. C’è ancora molto da lavorare perché il mondo del vino piemontese approdi a quegli spazi, non solo commerciali, ma anche di considerazione e autorevolezza che gli competono. Urge pensare in grande. Investire capitali e risorse umane. Di cervelli, soprattutto. Urge progettare una comunicazione efficace, slegata dai comparti stagni dei soloni, aperta a concetti innovativi, all’avanguardia, che, una volta per tutte lascino da parte l’isolazionismo così caro al piemontesi e avanzino in fronte comune. È difficile, ma non impossibile. E arrendersi al “tanto con cambierà nulla” non aiuta, appunto, a cambiare.
Per ora siamo ad plaudire i Bosca che hanno realizzato qualcosa di nuovo e bello. Altri sono sulla stessa strada. Da anni Coppo realizza iniziative culturali nelle sue cantine. Michele Chiarlo, nella vicina Calamandrana, con il suo Parco della Court è da decenni un esempio di unione tra vino, vigneti, arte e cultura, oggi aperta anche all’Unesco e al mondo della scuola. Nell’Albese realtà vinicole come i Ceretto, ed alimentari come la Ferrero, sono al centro di iniziative e fondazioni che hanno la cultura e la solidarietà come stella polare. Ecco, sarebbe bello ci fosse, senza creare carrozzoni o poltronifici, un coordinamento unico che faccia del Piemonte, finalmente, la patria d’elezione di una civiltà agroalimentari che ha pochi pari. Per merito dei piemontesi, certo, ma anche nonostante loro.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)