Una provincia, quella astigiana, che in tema turistico e di valorizzazione della propria area è priva di idee veramente innovative e con concentrazioni nefaste di eventi spesso compressi nello stesso giorno; e una regione, il Piemonte, che dopo l’ubriacatura delle Olimpiadi invernali del 2006 stenta a trovare una dimensione turistica concreta e soprattutto duratura.
È un quadro desolante, con poche spot di luce, quello che scaturisce dalla parole di Roberto Scarsi, 50 anni, astigiano doc, originario di Fontanile, centro agricolo tra Nizza Monferrato e Acqui Terme, con alle spalle oltre trenta anni di attività nel settore alberghiero, oggi a capo di un gruppo composto da tre strutture alberghiere (a Canelli, Nizza Monferrato e Rocchetta Tanaro) e, lo diciamo per onestà deontologica ed intellettuale, tra gli sponsor del portale Sdp.
In questo colloquio-intervista Scarsi lancia il suo j’accuse e parla della situazione del comparto dell’accoglienza in provincia di Asti, una delle zone più strategiche del Piemonte, ma anche della condizione regionale, che presenta, a suo parere, più ombre che luci. Di seguito il testo dell’intervista.
(Sdp) Insomma Scarsi, la terra d’Alfieri è così malmessa in materia di turismo?
«Certo non è ben messa. In questo periodo di crisi internazionale chi non ha fatto nulla per creare flussi sulla propria area sta messo peggio di altri…»
(Sdp) E nell’Astigiano secondo lei non s’è fatto granché…
«Veramente non s’è fatto nulla di nulla…»
(Sdp) Ma ci sono i grandi eventi: il Palio, le Sagre, la Douja…
«Il tutto concentrato in due settimane a settembre e con altre manifestazioni che coprono ottobre e novembre. Per il resto l’Astigiano è, turisticamente parlando, il deserto dei tartari»
(Sdp) L’assedio di Canelli è a giugno.
«Si, ma in concomitanza di almeno due eventi ad Asti e Santo Stefano Belbo, che è nel Cuneese, ma a quattro chilometri da Canelli. Una follia, di più, un atto commercialmente masochistico. Ci rompiamo le scatole uno con l’altro».
(Sdp) Cosi, però, stando ai tecnici turistici, il pubblico ha più scelta.
«È una scempiaggine bella e buona. La favoletta della moltiplicazione degli eventi che dimostra vivacità e fermento la andassero a raccontare ad altri. Il fatto è che il Piemonte non è capace di programmarsi, al contrario di quello che fanno in altre regioni. Qui lo sport preferito è quello di darsi delle martellate sulle ginocchia».
(Sdp) A proposito di Piemonte la Regione sta mettendo in campo più di un’azione di promozione.
«Non basta. Ci vuole programmazione e coordinamento tra le strutture e gli enti e i consorzi che si occupano di turismo e valorizzazione. Da Torino 2006 non s’è fatto più nulla. Abbiamo musei, prodotti tipici, enogastronomia, paesaggi, arte, cultura. Insomma abbiamo tutto e sembra che non abbiamo nulla. Il fatto che voi di Sdp abbiate realizzato un portale Sapori del Piemonte la dice lunga sulle potenzialità di questa regione. Eppure chi di dovere sembra non accorgersene».
(Sdp) Enti pubblici e Atl sul banco degli accusati, quindi?
«Guardi l’Atl di Asti, a quanto mi risulta, ha scarsi rapporti con le strutture alberghiere e recettive. Un esempio? Chi vuole materiale promozionale sull’Astigiano se lo deve andare a prendere negli uffici di Asti. Per quanto riguarda gli enti pubblici dovrebbero essere i “commessi viaggiatori” delle aree sotto il loro controllo politico-amministrativo. A quando pare, invece, si limitano a gestire piccoli o grandi potentati politici. Poi c’è anche l’immobilità di molti consorzi di operatori che più che strumenti d’azione mi sembra lavorino per la propria autoesistenza e autosussistenza».
(Sdp) Un quadro a tinte fosche. La ricetta per schiarirlo, se c’è, qual è?
«L’ho già detto. La parola d’ordine deve essere coordinamento. Vorrei, ma ho il timore che resterà un mio sogno nel cassetto, strutture sinergiche tra di loro, senza confini provinciali, in grado di programmare, magari sotto una regia regionale, grandi eventi culturali ed enogastronomici in tutto il Piemonte. Il tutto inserito in una più vasto programma di valorizzazione mondiale. Non servono le paginette sui giornali locali. Il turismo non vende jeans e magliette alla signora Maria di Viatosto o Sessame. Ad esempio, non capisco perché l’Atl e i Consorzi non sfruttino il turismo invernale sulle Alpi per promuovere prodotti tipici e paesaggi collinari. C’è bisogno di un respiro più ampio, di guardare più in là dei nostri confini. Altrimenti, come avete scritto voi di Sdp, si rischia di continuare a guardarsi il proprio ombelico. Salvo poi scuotersi quando è troppo tardi, e la crisi si è mangiata occasioni di lavoro e rilancio».
Filippo Larganà – filippo.largana@libero.it