Oggi su SdP ospitiamo la storia di Ivana, una giovane donna che è stata una manager di successo in giro per il mondo e che ora, appoggiandosi alla sua passione per la cucina etnica, ha aperto la sua attività di gastronomia nel cuore di Torino.
Del resto i “sapori del Piemonte”, lo abbiamo sempre detto, sono anche quelli che guardano oltre, ad altre cucine, altri sapori, altre culture.
Un’occasione per dare cibo anche alla mente e non solo al corpo. Non a caso un altro slogan della “Gastronomia – l’agenzia di viaggi” è “Il mondo a morsi”.
La storia di Ivana l’ha scritta Adriano Moraglio, un amico e collega che si è sempre interessato di imprese ed economia e che, questa volta, racconta una storia che lo coinvolge, come giornalista e scrittore certo, ma anche come qualcosa di più e che si scoprirà solo alla fine del racconto.
Intanto ecco la storia di Ivana scritta da Adriano.
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Si chiama Ivana e, a 38 anni, è diventata imprenditrice dopo 14 di lavoro da dipendente, anche con incarichi di elevata responsabilità in campo commerciale.
Ha aperto oggi, 13 dicembre, giorno della luce, giorno di Santa Lucia, la sua gastronomia etnica, chiamata originalmente Gastronomia – L’Agenzia di viaggi, a Torino, in via Gropello 17 bis.
È una delle tante testimoni giovani della bellezza di fare impresa. Una storia “natalizia”, positiva, di quelle che danno speranza e suscitano fiducia nei giovani e nel futuro. Il perché della sua scelta lo racconta in questa intervista che mi ha concesso.
Ivana, da che cosa nasce questa idea di metterti in proprio?
Non nasce dall’idea in sé di mettermi in proprio. Infatti, non mi sono mai pensata imprenditrice. Questa scelta nasce dal fatto che ci sono state negli anni tante cose che ho imparato nelle aziende dove ho lavorato, e che poi ho cambiato per vari motivi. Esperienze che hanno fatto sì che capissi un po’ che cosa mi piaceva di un’azienda, o che cosa non mi piaceva, dei modi di fare business, dei modi di proporre dei prodotti, e tutto questo – ciò che non mi piaceva – ha fatto nascere in me una sorta di rivolta, anche una rabbia per certi versi, un sentimento di non comfort, di scomodo. Ripeto: non ho detto “voglio fare l’imprenditrice…”, io sono sempre stata bene come dipendente, mi è sempre piaciuto essere dipendente, perché comunque hai qualcuno che ti indica gli obiettivi, e tu devi cercare sempre di mettere del tuo, ma in ogni caso segui qualcuno che puoi apprezzare o meno a seconda dei momenti…
E dunque la tua scelta di oggi è una conseguenza di determinate esperienze.
E’ una conseguenza di uno sviluppo della mia professionalità. Ho cominciato lavorando per una grande azienda come BasicNet, dove ho imparato tantissimo, dove ho avuto delle persone che mi hanno seguito e mi hanno formato. Poi, man mano, la mia dipendenza è andata un po’ sganciandosi, ho acquisito indipendenza da dipendente, cioè sono passata da stagista, apprendista eccetera fino a diventare una commerciale a tutto tondo, con l’ultima esperienza lavorativa prima di questa nuova, e responsabile del mio budget, responsabile per i miei mercati. Quindi a quel punto ero io responsabile, certo c’era il capo dell’azienda, il proprietario, la famiglia proprietaria, ma poi dopo c’era molto di più di mia intraprendenza, molta di più di quando ho iniziato a essere dipendente. E questo mi ha fatto capire che non ero obbligata a essere dipendente e che potevo forse fare qualcosa d’altro… Questo è proprio del mio percorso, perché non tutti si trovano a un certo punto ad avere tutta questa libertà anche di organizzare il proprio lavoro, e responsabilità del proprio lavoro, perché ero comunque responsabile per 2 milioni di euro di un’azienda: io parlavo con i clienti, io facevo le cose, confrontandomi con la direzione… Con il tempo, nei miei cambi di lavoro, sono passata da aziende grandi a imprese più piccole, e mi sono trovata molto bene nella dimensione della piccola impresa, perché ti ritrovi a fare tutto, a fare le scatole o a parlare con il presidente di un’altra azienda, con molta naturalezza, senza fare le scarpe a nessuno, e questo mi piaceva molto. Mi piaceva poter fare “miei” i clienti: sono sempre stata molto curiosa e molto “possessiva”, nel senso che ancora adesso parlo dei “miei” clienti, anche se non lavoro più nell’azienda dove ero prima, però li considero ancora i “miei” clienti. A volte ci penso e dico chissà come sta, chissà come sta andando…
Nelle tue esperienze lavorative c’è anche molto estero…che cosa hai imparato all’estero?
E’ stato il Brasile il posto all’estero dove ho vissuto di più ed è un “estero” particolare; San Paolo, per certi versi, è una città un po’ europea. Le prime esperienze sono state difficili – quelle alla Fila e poi a Eataly San Paolo, per ragioni legate al ritorno del Brasile a un periodo di crisi – ma per esempio il lavoro alla Bento store, dove ero in contatto quotidiano con i due imprenditori titolari, mi ha dato tantissimo: ho imparato soprattutto sul versante della relazione con il cliente, ma anche con la mia stessa responsabile (mi veniva persino a prendere a casa perché io non avevo la macchina). Ho lavorato in un rapporto quasi a livello familiare, stretto e comunque in una relazione lavorativa, che alla fine ha creato un ambiente anche più stimolante sotto l’aspetto professionale e nonostante la quotidianità, che porta con sé sempre le sue difficoltà, caratteriali, di business, di economia, perché abbiamo attraversato una fase di crisi economica importante…
E poi sei rientrata in Italia.
In Italia sono tornata a lavorare in un’azienda a conduzione familiare, la Vanni occhiali, dove sono stata per quatto anni e dove ho cominciato a fare un lavoro più commerciale, effettivamente, seppur più di back office, più di gestione degli ordini, che mi ha dato comunque una base di gestione molto chiara di varie parti della catena di fornitura. Mi rapportavo con aziende molto piccole, come possono essere i singoli ottici, ma anche con catene di ottici importanti, come poteva essere il mio cliente canadese. Tuttavia, l’esperienza che mi ha dato di sicuro più maturità dal punto di vista del mio contributo al lavoro e all’impresa è stata il ruolo da commerciale estero per la Elke. Con questa azienda sono ritornata un po’alle origini, dopo aver fatto tanta esperienza in ambito fashion: mi sono trovata nuovamente a operare su aspetti tecnici, dove ho potuto sfruttare di più le mie basi di ingegneria industriale. Lì ho avuto l’opportunità di essere quotidianamente sfidata, perché ero responsabile per un determinato budget dell’azienda. Questo ha fatto sì che sviluppassi la parte commerciale in modo anche molto personale. Credo di aver interpretato questo ruolo in modo, per così dire, affettivo, non solo in modo corretto, perché i clienti sceglievano me, e non perché avevo fatto loro una buona offerta o perché avevo risposto subito alla mail, ma perché si trovavano bene con me. Nella svolta che ho dato alla mia carriera professionale c’è ovviamente anche un’altra componente, quella che mi ha spinto a diventare imprenditrice nell’ambito della ristorazione. In questa scelta vedo due componenti: da una parte, una passione che c’è da sempre per la cucina, per il buon cibo, con un palato sviluppato e reso più complesso ed esigente grazie ai tanti viaggi fatti; dall’altra, il desiderio di fare qualcosa che avesse un impatto sociale, senza per questo limitarmi all’ambito del volontariato. Ho pensato a qualcosa che fosse di interessante economicamente parlando, ma che potesse anche avere un risvolto sociale nel senso di quello che dice da sempre il nostro amico di famiglia Marco Boglione, quando afferma che un’impresa ha di per sé, nella sua natura, un impatto sociale, nel senso che produce in un certo territorio e lì crea lavoro e realizza prodotti di cui godono tutti. L’impresa ha un impatto sociale “naturale” e quindi non è necessario pensare di produrre impatto sociale facendo unicamente opere di volontariato. Oggi comincio dando lavoro solo a me stessa, ma può avere già adesso un impatto sociale come farò impresa, come mi relazionerò con i clienti, per che cosa proporrò dalla mia cucina. Io ho deciso non di cucinare una cosa qualsiasi o qualcosa che piacesse a me perché mi piace: quello che io voglio fare è proporre sapori, gusti, tipi di cucine che vengono da altre parti del mondo, come anche dall’Italia, però proponendo delle combinazioni di sapori, di trattamenti e di preparazioni di cucina diverse rispetto a quello che è il comune cucinare italiano, per suscitare curiosità anche verso le culture dalle quali vengono queste tradizioni culinarie.
Da cui il nome Gastronomia L’agenzia di viaggi… In che cosa consiste la proposta culinaria dell’Agenzia di viaggi?
Consiste in una proposta varia ma con un’identità molto chiara per quanto riguarda il menu. Perché il menu è stato studiato in modo tale da consentire a tutti di poter entrare e provare qualcosa, anche un po’ indipendentemente da diete particolari. Cioè, tutto quello che non è specificamente carne rossa o pollo è fatto in modo che non abbia proteine di origine animale, ma senza essere volutamente vegano – non è una gastronomia vegana la mia, perché c’è la carne, in vari piatti c’è la carne -. Io voglio dare a tutti la libertà di poter scegliere e poter comporre il proprio piatto come desidera, anche evitando determinate intolleranze come il lattosio. Voglio che uno possa entrare in gastronomia e trovare qualcosa che abbia voglia di mangiare. A dei prezzi, studiati, che portino margine all’impresa ma che siano gentili, come un po’ anche la composizione dei miei piatti in sé: spezie sì, ma con gentilezza; preparazioni particolari sì, ma che non siano troppo strane. Se anche una persona anziana che abita in questo quartiere vuole venire ad assaggiare qualcosa da me, potrà trovarla. L’agenzia di viaggi sarà una gastronomia per tutti. Se viene un bambino con la mamma, io gli posso raccontare la storia di un determinato piatto e lui può assaggiarlo: offrirò cose buone, gustose, non pesanti, fatte con cura, utilizzando degli ingredienti normali, non la carne del bovino allevato in chissà quale Paese… Tutti debbono poter sia acquistare sia poter replicare quei piatti. Del resto, sono i piatti che io cucino a casa tutti i giorni per la mia famiglia, la base è quella, non sono cose strane o particolarmente elaborate. Sono cose per tutti i giorni dentro una proposta nutrizionalmente equilibrata perché il cuore del prodotto proposto è questa combo dove uno sceglie una proteina di carne rossa e carne bianca, oppure proteina di origine animale, ma vegetariana, quindi ricotta, uova eccetera… oppure proteina esclusivamente di origine vegetale, ad esempio i legumi. I carboidrati saranno proposti sia con glutine o senza glutine e si potranno scegliere due verdure. La proposta delle verdure sarà gustosa, con le verdure ricche di vitamine, di nutrienti, fatte per la maggior parte al forno. E’ per questo che le persone potranno servirsi da me quotidianamente.
I clienti come possono fruire dei tuoi cibi?
Io mi sono preparata all’apertura della mia attività come se stessi andando a una fiera commerciale lunghissima. Le fiere erano i momenti che assolutamente più mi piacevano quando lavoravo in azienda: ricevere le persone, fare il primo contatto visivo, attirare la persone. Parlavo con la gente e dicevo: “Magari hai dato uno sguardo veloce allo stand, siediti, parliamo, posso farti capire che quello che ti sto offrendo può esserti utile. Non ti obbligo, no, ti faccio vedere che quello che ti offro ti serve”. Questa è la dinamica. Oggi pensavo che è un po’ così quello che faccio nella mia gastronomia. Ogni mattina mi presenterò in negozio, avrò la mia divisa, che comunque ho pensato, studiato, cercato, in modo semplice, ma chiaro… avrò il turbante fatto con il tessuto africano, una maglietta verde, il grembiule bianco… Mi sto immaginando io che mi vesto esattamente come se andassi a una fiera, con la differenza che sarà tutti i giorni così! Ci sarà molto dialogo con le persone, perché all’inizio dovrò anche raccontare cosa offro molto più che in una gastronomia tradizionale, dove uno compra il vitel tonnè o la pasta fresca. Dovrò presentare un pochino l’offerta, per cui so che arriverò a fine giornata totalmente senza voce. Almeno lo spero! E poi… per i clienti ci saranno due opzioni, molto semplici. Una a peso, tradizionale, oppure uno si potrà comporre il suo piatto scegliendo una proteina tra le quattro proposte, un carboidrato e due verdure. Ci sarà anche l’opzione del piatto unico che può essere ad esempio una lasagna vegetariana, quindi la parte di pasta fresca, la besciamella con il latte e il formaggio e le verdure dentro, per cui uno potrà fare un pasto equilibrato mangiando semplicemente una lasagna.
E i dolci per i quali sei giustamente molto nota?
I dolci appariranno in gastronomia poco per volta. Anche se sono il prodotto che fino ad oggi – forse l’unico prodotto – sul quale ho lavorato gratuitamente per amici e parenti. Mi piace tantissimo fare torte per i compleanni, le torte da celebrazione, sempre con abbinamenti un po’ particolari e decorazioni semplici ma poco scontate. Dunque i miei dolci arriveranno in gastronomia a piccoli passi: non è istintivo per una persona andare a ordinare una torta per un compleanno in una gastronomia! Quindi: questa sarà una cosa che man mano che il lavoro va avanti proverò a inserire – magari proponendo tra i dolci anche una base di una torta che può essere quella di un compleanno – in modo da far capire alle persone che potrebbero anche ordinare questa tipologia di dolci. All’inizio inserirò nel menu dei dolcini che servano come fine pasto. Se qualcuno vuole qualcosa di dolce potrà trovarlo.
La sfida è dunque che la bravissima pasticcera non trasformi la gastronomia in una pasticceria!?
Non andrà così. Non si vive di soli dolci, non si vive di sole torte, nella vita di tutti i giorni i dolci bisogna anche un po’ limitarli…
E mentre attendiamo le torte… in quali luoghi ci porterà la tua “agenzia di viaggi”?
Vi porterò dal Sudamerica fino all’Asia, passando anche per l’Europa – anche se non si può parlare di cucina europea, esattamente come non esiste la cucina africana o quella sudamericana in sé – Ogni Paese ha una sua identità culinaria specifica e quindi chiaramente si partirà dai Paesi o dai sapori che meglio conosco e che più uso e faccio a casa. Si parte ovviamente dal Brasile (Ivana ha vissuto in Brasile per molto tempo e ha sposato anche un brasiliano, ndr) con uno spezzatino di manzo con dentro anche una salsiccia affumicata brasiliana, poi si passa al Medio-Oriente con un pollo marinato nello yogurt, di ispirazione più turca anche se tutta la zona medio-orientale (in realtà anche dai Balcani) usa moltissimo lo yogurt come marinatura della carne, messo a crudo per poi cuocerlo; e poi torniamo velocemente in Piemonte per proporre dei capunet/pescoi vegetariani, con una base di ricotta, per poi spingerci nuovamente a Est, con un dal di lenticchie, che è una preparazione tipica di una zona dell’India, una sorta di stufato di lenticchie con delle spezie, che possono variare, e latte di cocco. Anche sui piatti unici ci sarà una proposta declinata in due opzioni, ad esempio con il brasiliano escondidinho.
Hai cominciato di venerdì 13…
Certo, perché noi non siamo scaramantici, fosse anche di 17, che importa?
E poi il 13 è santa Lucia che illumina questa nuova attività!
L’intervista è terminata. Dimenticavo di scrivere che Ivana, di cognome, si chiama Moraglio. È mia figlia. La mia figlia maggiore.
Have a good luck, Ivana
Adriano Moraglio
p.s.: Buona fortuna a Ivana anche da parte di noi di SdP e se qualcuno vuole scoprire piatti e ricette di “Gastronomia – l’agenzia di viaggi” cliccate qui.