Il progetto del Tartufo Nero pregiato del Piemonte? Nessuno ne parla più. Ecco perchè.
Un mese fa, noi di Sdp, per primi, avevamo dato conto, con dovizia di dettagli, dell’iniziativa “L’oro nero del Piemonte” con cui si voleva lanciare in grande la coltivazione e l’uso in cucina del tartufo nero pregiato piemontese, un fungo ipogeo che si può coltivare, cresce ed è raccolto quando in periodi dell’anno (estate e inverno) diversi da quelli del blasonato (e carissimo) Tuber Magnatum Pico (il bianco).
Il tartufo nero si può mangiare crudo ma dà il meglio quando si cuoce, costa dieci volte meno del bianco e rappresenterebbe una buona integrazione di reddito per i contadini della zona di produzione, cioè il Sud Piemonte, e maggiori possibilità offrire menù diversificati e originali per i ristoranti.
Il che in tempi di crisi non sarebbe niente male.
Sdp aveva fornito particolari del progetto: il coinvolgimento dei ristoratori, degli enti pubblici e delle Atl insieme all’intenzione, mai smentita, da parte della Regione di stanziare un milione di euro per una campagna di comunicazione nel Nord Italia.
Insomma una cosa ben fatta.
Due giorni dopo il nostro annuncio scoppia il caso Premio Grinzane Cavour, uno dei riconoscimenti legati alla cultura più importanti d’Italia. I magistrati torinesi sostengono di aver scoperchiato un verminaio e accusano il patron del premio, Giuliano Soria – che da anni, attraverso la sua associazione culturale, riceve fondi pubblici, tra cui quelli della Regione, in cambio di mega eventi mondano-culturali – di reati gravi, come la malversazione.
Nell’inchiesta resta coinvolto anche il fratello di Giuliano, Angelo Soria, funzionario della Regione, responsabile del settore comunicazione della Giunta regionale e la persona che si interessa proprio del progetto tartufo nero. Risultato: tutto si blocca e il lancio del tartufo nero, che con l’inchiesta dei pm non c’entra, viene oscurato da una bufera giudiziaria senza precedenti.
Saltano presentazioni, eventi, spot su tv, giornali, web. Tutto accantonato in attesa che si calmi la tempesta.
Ma c’è chi non ci sta.
La Comunità collinare “Tra Langa e Monferrato” e il Comune di Canelli, tra i primi enti, insieme al Comune e all’Atl di Alba, a promuovere il tartufo nero, mettono in pista micro-progetti collaterali. Si fanno presentazione al Vinitaly, si predispongono ricette e menù in vista di manifestazioni primaverili e estive. E ci sono ristoranti stellati e non che già propongono autonomamente ricette a base di tartufo nero. Nell’Albese si pensa, per il prossimo autunno, di portare i turisti a “seminare” le piantine che genereranno il tartufo nero, in collaborazione con il vivaio sperimentale della Regione.
«D’altronde il distretto mondiale del tartufo, bianco e nero, è qui nel Sud Piemonte» precisa Mauro Carbone, direttore dell’Atl albese e del Centro Nazionale di Studi sul Tartufo. Tutte cose ottime e lodevoli, ma che purtroppo senza il supporto di una possente campagna di comunicazione rischiano di rimanere spot isolati. «Diciamo che per ora stiamo investendo sul territorio. Il prossimo anno contiamo di riprendere il discorso» commenta Carbone.
Resta il dispiacere per un anno perso con il rischio, per nulla scongiurato, che uno dei risultati nefasti dell’inchiesta “Soria” – sulla quale la magistratura è tenuta a fare piena luce – sia quella di cassare senza appello (e senza motivo), complice la codardia di molti politici, ogni iniziativa, progetto, evento e idea che abbia o abbia avuto a che fare con i fratelli Soria.
Buttando, così, il bambino insieme all’acqua sporca.
Filippo Larganà
Caro Maurizio, il progetto “tartufo nero” era ed continua ad essere, a nostro parere, un’idea interessante. Tuttavia passibile di critiche, aggiustamenti e perfino suscettibile (ci mancherebbe!) di suscitare legittime perplessità. Noi di Sdp, del resto, riferimmo proprio dei dubbi avanzati, nel corso di una prima assemblea, da alcuni ristoratori. Quello che ci convinse, e convise soprattutto enti pubblici, titolari di locvali, chef e rappresentanti dei raccoglitori di tartufi (compresi i responsabili del centro nazionale di studi sul tartufo di Alba che certo sanno la differenza tra i vari “neri” e la loro diffusione in Piemonte), fu l’opportunità di offrire all’economia agroalimentare piemontese una chanche in più. Per quanto riguarda la crisi che starebbe investendo Barbere e Dolcetti, forse non è solo un problema di comunicazione. Forse di Barbera ce ne sono troppe e di Dolcetti anche di più. Forse negli anni scorsi Barbere e Dolcetti hanno “baroleggiato” troppo lasciando correre i prezzi in enoteca e al ristorante. Oggi, con la recessione mondiale che incombe, queste cose si pagano. Soluzione? Ripescare un po’ di umiltà, di voglia di battere i marciapiedi, di andare incontro alle esigenze, anche economiche, del consumatore di vino.
Confesso che questo progetto del tartufo nero non mi ha mai convinto molto. Intanto a quale tartufo nero ci si riferisce? Quello che cresce d’inverno (melanosporum) è raro in Piemonte e molto diverso da quello he cresce d’estate, lo scorzone, il quale è anche molto, ma molto meno pregiato. Parlare di nero in generale mi pare un po’ una presa in giro dei consumatori. Ciò, detto, un certo sforzo per valorizzare i “neri”, anche lo scorzone, è apprezzabile, ma dovrebbero farlo soprattutto i ristoratori e i gastronomi: stanziare un milione di euro pubblici per promuovere un fungo di mediocre qualità quando ci sono vini importanti come i vari barbera e dolcetto che sono in crisi drammatica soprattutto per mancanza di comunicazione mi pare onestamente una follia.