Silenzio, parla Gancia. «Non vendiamo, non chiudiamo. Gli affari vanno». E le bollicine? «La storia e il nostro futuro»

inserito il 15 Luglio 2011

I "metodo classico" Gancia, Alta Langa e Asti docg

La Gancia? Non si vende, non fallisce, si sta riprendendo nonostante la crisi e le perdite di fatturato «chi non le ha oggi?», investe nelle bollicine d’autore italiane e ribadisce il primato di chi le ha inventate oltre un secolo e mezzo fa. Paolo Fontana, da tre anni amministratore delegato di Casa Gancia, l’azienda di Canelli, nell’Astigiano, dove è nato il primo spumante d’Italia, davanti ai giornalisti convocati in una calda mattina di luglio, non scivola nel pantano delle dichiarazioni di facciata e va dritto al punto: «Abbiamo convocato la stampa per dire chiaro chi siamo e cosa vogliamo fare di questa azienda storica che ha alle spalle una famiglia coraggiosa che ha fatto e ancora fa la storia dell’enologia italiana». Punto e a capo.

Parole forti, dette con a fianco Lamberto Vallarino Gancia, esponente della quinta generazione degli industriali spumantieri, oggi a capo di importanti enti vinicoli: Federvini e Consorzio Tutela Alta Langa in Italia, e il Ceev (Comité européen des entreprises vins) sorta di Ue del vino europeo che riunisce aziende e grandi gruppi del settore, a Bruxelles.

Fontana parla del passato, delle perdite commerciali «50 milioni di fatturato in meno. Abbiamo davanti ancora due anni di sacrifici, ma nel 2013 torneremo all’utile», delle scelte dolorose di stringere nel personale e nelle attività: «Abbiamo chiuso Selezione Castello, la divisione per la vendita diretta al cliente», parla di «mettere ai margini della missione centrale di Gancia» attività «non pertinenti», come le tenute che fanno vino “tappo raso”: Tenute dei Vallarino nell’Astigiano e Capocroce in Sicilia ma che, avverte, «non è detto non brilleranno di luce propria con varie ipotesi da valutare».

Quindi illustra il presente con un occhio al futuro. Racconta dei successi: +30% di export e +10% i Italia nel primo semestre, degli spumanti metodo classico che incontrano il favore del pubblico, dello Spazio Gancia di via Tortona a Milano che, assicura l’Ad, «è diventato meta degli appassionati milanesi delle bollicine di qualità» e che sta generando un format di mescita che ha già cloni in Germania (Monaco, già open e Berlino a breve) con i coreani che se ne stanno interessando.

Poi c’è il futuro: con il restyling, ancora top secret, del Pinot di Pinot, spumante che Fontana definisce «antesignano del Prosecco» e fu marchio di punta dell’azienda, fino agli anni Novanta.  Sarà rilanciato a settembre con una campagna solo per l’estero. Quindi c’è la promozione dell’Alta Langa, lo spumante metodo classico (fermentazione in bottiglia) da uve bianche piemontesi di cui proprio Lamberto Gancia presiede il piccolo ma agguerrito Consorzio di Tutela e che Gancia propone in variazioni da 18, 36 e 60 mesi di affinamento.

Infine, ma non per ultimi, ci sono Asti e Moscato d’asti docg. Fontana è categorico: «Gancia è il moscato e il moscato non è solo Asti. E noi siamo gli unici a proporre una gamma completa delle tipologie di questo vitigno: dal super premium al premium al medium alla fascia bassa». Ed elenca i prodotti: dall’Asti 24 mesi metodo classico, al Millesimato, all’Asti docg tradizionale maturati in grandi autoclavi refrigerate, al Moscato d’Asti docg, agli spumanti non docg a base moscato.

La passione per questo vino è evidente quando Fontana e Gancia parlano di mercato, dei moscati venduti in Portogallo e 1,5 euro, degli Usa e della Russia dove Asti e Moscato spopolano e dove il controllo sulla qualità deve essere sempre vigile, dell’esigenza di promuovere e far conoscere il Moscato d’Asti in modo che si distingua nella giungla di moscati americani, africani, australiani e europei-non-italiani.

Belle parole ma come fare a metterle in pratica? Fontana e Gancia rispondono all’unisono «Industrie e parte agricola devono smetterla di litigare. Mettere da parte polemiche e pesonalismi e andare avanti. C’è un disciplinare da far approvare, ci sono regole che tutti devono rispettare in modo che il moscato diventi una fonte di reddito per chi coltiva e chi produce e vende». Più facile a dirsi che a farsi visto che all’ultima paritetica parte industriale e agricoltori manco si sono parlati. «Questioni superabili. Basta che le parti facciano ognuno un passo indietro» taglia corto Fontana. E Vallarino Gancia rincara: «È il sistema che non funziona. Non facciamo squadra. Gli altri, veneti e toscani, ci surclassano». «Dobbiamo arrivare ad un circolo virtuoso che elimini da sé gli speculatori» ipotizza Fontana.

Si parla anche di Consorzio di Tutela da cui Gancia è uscita, in polemica, da un paio d’anni. «Non è in discussione l’ente, ma la politica degli uomini – dice Fontana che aggiunge -. C’è bisogno di aprire le finestre e far entrare aria nuova». Messaggio neppure tanto velato al presidente, Paolo Ricagno e a tutto il cda consortile che scadono ad aprile 2012. Sarà raccolto?

E il territorio? Fontana e Vallarino Gancia rinnovano il legame forte della maison canellese con l’area d’appartenenza: «Abbiamo qui le nostre radici. È un valore aggiunto dei nostri spumanti. Lo sanno bene i nostri 680 conferenti che partecipano alla cena annuale pre-vendemmia». Il progetto Unesco va in questo senso. «Ma ci dobbiamo credere noi per primi» precisano.

Ecco il verbo chiave: credere, ultimamente non è che nella zona di produzione dell’Asti e del Moscato ci siano stati grandi dichiarazioni d’amore enologico verso questi due grandi vini, e neppure verso gli altri: Barolo e Barbaresco sono silenti, la Barbera soffre, le altre tipologie vivacchiano e Asti e Moscato, che vivono una stagione eccezionale di vendite, affogano nelle polemiche sterili. Valli a capire ‘sti piemontesi!

Però ora c’è la Gancia, che vuole tornare a fare da apripista, da avamposto di rilancio enologico, facendo leva sulla storia ma guardando al futuro. Il progetto c’è. Bisogna metterlo in pratica. Così magari tra qualche anno torneremo a sentire il fortunato slogan di un’altra storica azienda vinicola che dagli schermi tv in bianco e nero strillava «Arrivano i piemontesi!». Ecco forse i piemontesi del vino si sono rimessi le scarpe. Speriamo che adesso si diano anche una mossa.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

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