Robiola di Roccaverano. Il caprino piemontese a caccia di mercati. Garbarino (Consorzio): «Bene i giovani, ma molti casari rinunciano». Il nodo della stagionatura

inserito il 3 Febbraio 2016
Fabrizio Garbarino

Fabrizio Garbarino

Fabrizio Garbarino, casaro ormai di lungo corso della Robiola di Roccaverano, parla da presidente del Consorzio di Tutela (un paio di mesi fa è subentrato al mitico Ulderico Antonioli Piovano che ha passato la mano dopo quasi 20 anni di mandato) e dice: «Come è andata l’annata? Bene. La nostra robiola è un formaggio le cui qualità e genuinità sono riconosciute e acclarate. Inoltre si fa in una zona che è diventata fortemente turistica». Cosa volere di più? «Magari il rinnovamento delle aziende che producono il Roccaverano – annota Garbarino che spiega -. Gli associati al Conzorzio sono scesi ad una quindicina, complici la crisi economica, la burocrazia che spesso fa scappare la voglia di lavorare e anche un salto generazionale che stenta a ripopolare le campagne, soprattutto dalle parti della Langa Astigiana». Eppure giovani ne sono arrivati. «Per fortuna – ammette il presidente -. Qualche nuova leva si sta facendo strada. Figli di nostri associati che hanno scelto di lavorare nelle aziende di famiglia. Sono la nostra speranza e quella della filiera».

549061_423759091006825_120576647_nPoi c’è il capitolo mercati. «È quasi tutto nel Nord Ovest con pochi sconfinamenti. Il Roccaverano non è un formaggio facile da trasportare. Serve la stagionatura che molte aziende produttrici già fanno, ma servirebbe una piattaforma comune per ottimizzare operazioni e costi di spedizione. Una struttura che non c’è. E anche l’unico affinatore che aveva avviato l’attività in zona ha chiuso. La soluzione non è semplice. Per ora andiamo avanti così, ma colgo l’occasione per rinnovare l’appello all’unità della nostra filiera e anche a qualche impreditore illuminato che voglia investire, magari progettando una piattaforma per la nostra robiola. Potrebbe essere un’idea e troverebbe certo la nostra collaborazione e attenzione».

Ma la Robiola di Roccaverano è anche uno dei formaggi più imitati: «Abbiamo ispettori che controllato questo aspetto su tutti i mercati. Diciamo che c’è chi ancora fa confusione, soprattutto nella grande distribuzione – dice Garbarino -. Per questo abbiamo intenzione di avviare progetti di educational nelle scuole di goni ordine e grado. Far conoscere il nostro formaggio e spiegare le differenze con quelli che solo gli somigliano ci sembra strategico per formare i consumatori di oggi e di domani».

Infine un po’ di info e numeri: la  produzione della Robiola di Roccaverano dop è consentita solo nella zona di provenienza del latte, di trasformazione, di raggiungimento dei termini di maturazione previsti e il confezionamento compresa nel territorio amministrativo dei seguenti comuni della provincia di Asti: Bubbio, Cessole, Loazzolo, Mombaldone, Monastero Bormida, Olmo Gentile, Roccaverano, San Giorgio Scarampi, Serole e Vesime; della provincia di Alessandria: Castelletto d’Erro, Denice, Malvicino, Merana, Montechiaro d’Acqui, Pareto, Ponti, Spigno Monferrato ed il territorio del comune di Cartosio ubicato sulla sponda sinistra del torrente Erro. All’anno sono circa 320 mila le forme che escono dai caseifici per un prezzo medio al chilo attorno ai 15 euro. Oggi la Robiola di Roccaverano rappresenta una buona occasione di lavoro e reddito. Non facile, certo, richiede sacrifici e fatica, ma la passione con cui i casari la raccontano fa emergere la soddisfazione di chi non fa un lavoro, ma un mestiere che ama.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

 

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