Ricerca. Tra eno-archeologia e sperimentazione ecco le micro-vinificazioni da cloni storici di Barbera

inserito il 21 Aprile 2016

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Poco importa se il vino che non ci è piaciuto è stato quello più votato dagli enologi che hanno partecipato alla degustazione. Davanti a tanti “nasi” e “palati” e “eno-cervelli” eccellenti il cronista deve deporre le armi e limitarsi a raccontare. Un racconto che comincia con le parole di Enzo Gerbi, direttore della Cantina sociale Sei Castelli di Agliano e Castelnuovo Calcea, nel Sud dell’Astigiano, che, qualche mese fa, rivela un progetto: «Stiamo selezionando “individui” di viti di barbera da filari storici. Lo scopo è quello di trovare elementi che aiutino a individuare caratterizzazioni tipiche del territorio, cioè una barbera il più possibile non omologata, più identificativa». Insomma la carta d’identità della Barbera d’Asti prima di qualsiasi innesto. Un viaggio di eno-archelogia affascinante che ha coinvolto, oltre alla Cantina sociale, aziende vivaistiche (Rauschedo), Università e Cnr. Insomma una “missione” in grande stile, portata avanti con rigore scientifico e severa regola enologica di cantina. Dunque nell’area della Cantina Sei Castelli sono state individuati una decina di ceppi di barbera. Coltivati in modo uniforme, hanno dati grappoli che successivamente sono stati vinificati singolarmente, in quantità di circa 100 chilogrammi. Ne sono venute 10 Barbere uguali, ma diverse. «A dimostrazione del fatto che ogni individuo, seppure della stessa famiglia, porta caratteristiche uniche» ha sottolineato Enzo Gerbi. Il resto è palato. Dieci bottiglie degustate nella sala dell’Università di Asti con, come conduttore, Vincenzo Gerbi (omonimo ma non parente del direttore della Sei Castelli) docente del corso di viticoltura ed enologia davanti a una platea di enologi e tecnici vitivinicoli tra cui anche l’assessore regionale all’Agricoltura, Giorgio Ferrero e Anna Schneider del Cnr di Torino che ha richiamato tutti alla necessità di recuperare il grande patrimonio di biodiversità che il vigneto Piemonte e Italia mette a disposizione dei viticoltori e delle aziende vinicole italiane. Quello della Sei Castelli è stato dunque non un esperimento fine a sé stesso ma, come si dichiara nelle interviste raccolte da SdP, un progetto che serve a costruire il futuro dell’enologia piemontese, magari partendo dalle sue radici, il che, mai come in questo caso, non è solo un modo di dire.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it) – video e fotografie di Vittorio Ubertone

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