i prodotti tipici del Piemonte
La globalizzazione dei mercati, in atto da qualche anno, investe particolarmente il settore risicolo: il riso infatti è uno degli alimenti più diffusi e consumati nel mondo. In questo contesto, il mercato del riso ha necessità di una produzione sempre più grande e sempre più standardizzata, al contrario il riso italiano di qualità, che possiede caratteristiche particolari di tipicità e modalità di consumo, è destinato a soccombere con gravi conseguenze economiche, sociali e culturali, se non si imbocca decisamente le strada di una valorizzazione delle sue varietà tipiche e delle loro tradizioni gastronomiche e culturali.
In effetti, lungo un periodo di oltre cinque secoli, la coltivazione in Italia della sottospecie japonica del riso (Orhyza sativa), ha creato una serie di cultivar o varietà dalle caratteristiche particolarmente legate al clima e al territorio da un lato, alle cucine regionali dall’altro, con una svariatissima gamma di piatti che tutti testimoniano un peculiare modo di utilizzare il riso, facendone un alimento tipico italiano. A questo proposito, bisogna sottolineare due aspetti. Il primo è che, pur essendosi progressivamente ristretta la coltivazione del riso in Italia quasi esclusivamente alle regioni padane, il suo utilizzo in preparazioni culinarie si è esteso e si estende, con ricette regionali ormai considerate classiche, a tutte le nostre regioni, cosicché si può ben dire che esiste un “modo” italiano di consumare il riso. Il secondo è che nelle zone di produzione, nonostante la sempre maggior diffusione di altri “stili” alimentari (si pensi al recente arrivo della pizza e a quello meno recente della pasta di semola), il riso rimane alla base dell’alimentazione delle popolazioni di queste regioni. Non solo, ma la coltivazione del riso ha profondamente inciso sull’organizzazione del territorio e quindi sul paesaggio, ed è strettamente legata a fenomeni (per citarne uno solo: quello delle “mondine”) strettamente legati alla storia sociale e culturale di queste nostre regioni.
Questa tradizione agricola si è sviluppata in un territorio, la valle del Po, che presenta un ambiente dalle caratteristiche pedologiche e climatiche molto favorevoli al riso, pur situandosi alla latitudine nord più elevata per questa pianta. Proprio questi aspetti climatici e pedologici hanno attraverso i secoli selezionato delle varietà di riso con caratteristiche precise, tanto che si può a buon diritto parlare di “riso italiano”, per distinguerlo dai risi non solo di altre sottospecie, ma anche di quelli japonica prodotti in altri climi e condizioni. All’interno di questa tipologia di riso tipico italiano si possono identificare delle varietà consolidate dalla tradizione sia produttiva sia gastronomica; sono quelle varietà che vengono comunemente dette (anche nei documenti e nelle statistiche ufficiali dell’Ente Nazionale Risi) “storiche”.
Il Consorzio di Tutela e Valorizzazione delle Varietà Tipiche del Riso Italiano e delle Sue Tradizioni, ha dunque individuato nell’ambito della produzione di riso di qualità nella pianura padana (valle del Po), sei varietà “storiche” tra quelle ancora diffusamente coltivate, che, per caratteristiche agronomiche, organolettiche e per tradizione di utilizzo in piatti e preparazioni tipiche delle cucine regionali italiane. Esse appartengono tutte alla subspecie Orhyza sativa japonica e sono: Arborio, Baldo, Balilla, Carnaroli, Sant’ Andrea, Vialone Nano. La necessità di salvaguardare le varietà storiche, cui tante nostre tradizioni sono legate, è evidenziata dal fatto che dal 1971, anno del loro massimo svilippo, quando rappresentavano il 57,86% della produzione nazionale di riso, si sono rapidamente ridotte al 31,36 % nel 1998.
Arborio
Questa varietà prende il nome dal villaggio in provincia di Vercelli, luogo di origine del Cardinale Mercurino Arborio di Gattinara, ministro di Filippo II di Spagna, celebre anche per aver introdotto la coltivazione del vitigno Nebbiolo o Spanna sulle colline Vercellesi.
I primi dati disponibili sulla coltivazione dell’Arborio risalgono al 1949 quando occupava una superficie di 1.000 ettari. Da allora è sempre stata una delle varietà più diffusamente coltivate in tutta la valle del Po (nel 1999, sono stati coltivati 6.046 ettari), particolarmente nelle zone argillose o in territori alluvionali medio-umidi nelle “sezioni” Ente Risi di Vercelli, Pavia, Novara, Codigoro. L’ Arborio è una delle varietà tipiche che più facilmente si è adattata alle condizioni climatico pedologiche della Valle del Po ed è quindi una delle varietà presenti in diverse cucine regionali, dal Piemonte, all’Emilia e al Veneto. E’ anche quella più particolarmente adatta a piatti tipici della Lombardia, sia minestre asciutte (risotto giallo, risotto con la zucca, riso e “luganega”) sia in brodo (minestrone alla genovese e minestrone alla milanese).
La tutela di questa varietà, in particolare per quanto riguarda la qualità della lavorazione e la sua commercializzazione in purezza riveste particolare importanza in quanto in numerosi mercati esteri, Arborio è sinonimo di riso italiano di qualità.
Baldo
Tra le varietà “storiche” del riso italiano, identificate dal nostro Consorzio come meritevoli di tutela, il Baldo è certamente la più recente. La sua coltivazione è in effetti iniziata qualche anno prima del 1966, anno a cui risalgono i primi dati certi di una diffusione significativa. La varietà, tuttavia, per le sue caratteristiche genealogiche, ha incontrato il favore dei risicultori, tanto che nel 1999 la superrficie di risaia coltivata a Baldo raggiungeva in Val Padana gli 11.648 ettari.
Questo tuttavia non sarebbe stato possibile se la varietà non si fosse rivelata estremamente interessante per la cucina, sia per il suo ottimo rapporto costo/qualità, sia per la sua grande versatilità e capacità di dare ottimi risultati nella preparazione di quasi tutti i piatti della tradizione italiana, sia nei risotti mantecati piemontesi e lombardi, sia in quelli cotti alla créole dell’Emilia e del Veneto, sia in piatti di altre regioni della penisola come il sartù, gli arancini, la tiella o le torte di riso alla toscana.
Balilla
Questa varietà è la più antica tra le varietà “storiche” ancora coltivate nella pianura del Po (essa è spesso, erroneamente chiamata anche “Originario”, varietà scomparsa e sostituita dal Balilla, molto simile). I primi dati che la concernono risalgono infatti al 1924, e già nel 1949 le risaie coltivate a Balilla occupavano una superficie di 2.749 ettari. Le sue specifiche caratteristiche organolettiche, particolarmente interessanti per l’industria di trasformazione, hanno fatto sì che, malgrado la sua produttività inferiore rispetto ad altri tipi di riso “tondo” (classificazione merceologica “comune” o “semifino”), se ne sia continuata la coltivazione su superfici che rimangono importanti: 25.111 ettari nel 1999.
Oltre all’impiego industriale (fiocchi di riso, riso soffiato, riso al latte), il Balilla in cucina è la varietà ideali per molti dolci tradizionali: torte, frittelle, budini. Tuttavia, quasi tutti i risotti e minestre di riso della tradizione popolare, dal Piemonte al Veneto, sono stati, per molti decenni, preparati con il Balilla: dalla “panissa” o “paniscia” al riso col nero di seppia, dal “riso e rane” ai “risi e bisi”.
Carnaroli
Oggi, questa varietà rappresenta il riso italiano nel mondo e tutti i ristoranti che vogliono offrire ai loro clienti il vero “risotto” all’italiana cercano di procurarsi un Carnaroli autentico.
Gli inizi della sua coltivazione risalgono al secondo dopoguerra. Nel 1949, la varietà occupava 683 ettari ed era già apprezzata dagli intenditori. Tuttavia, a causa delle difficoltà che presenta la sua coltivazione (e di conseguenza anche per il suo costo elevato), non ha mai conosciuto un grande sviluppo produttivo ed ha anzi rischiato di scomparire. Le sue eccezionali qualità “gastronomiche”, che ne fanno uno dei risi più apprezzati al mondo, anche al di fuori della tipologia del riso “italiano”, ne hanno comunque assicurato la diffusione, ricercato com’è dai migliori chefs del mondo, tanto da essere uno dei simboli del “made in Italy”.
La superficie coltivata a Carnaroli raggiungeva nel 1999 i 3.583 ettari. E’ una delle varietà più bisognosa di tutela, perchè insidiata da imitazioni, alterazioni e sostituzioni. In tavola rimane comunque inimitabile per risotti, insalate e timballi.
S. Andrea
Le prime notizie sulla coltivazione del riso S. Andrea risalgono al 1966 (834 ettari coltivati). Tuttavia, la varietà ha conosciuto il suo pieno sviluppo a partire dai primi anni ‘70, quando è stata seminata nelle risaie ricavate dalla bonifica delle “baragge”, ossia delle zone della pianura Padana ai piedi delle prealpi e appena a nord della linea delle risorgive. Il S. Andrea si è rivelato particolarmente adatto ad ambientarsi in una zona più fredda e meno fertile rispetto ad altre parti della pianura. La varietà offre ai consumatori un riso estremamente adatto alla preparazione dei piatti tradizionali, specie le minestre piemontesi e lombarde ed ha una sua autentica tipicità.
Per il “Riso S. Andrea Piemonte” è stata presentata istanza di riconoscimento dell’attestazione comunitaria DOP da parte della Riseria Provera.
La comunicazione di tale richiesta è stata fatta sul bollettino Ufficiale della Regione Piemonte, n° 20 del 17 maggio 2000, con la pubblicazione del relativo disciplinare di produzione proposto.
Vialone Nano
Questa varietà è assai antica (le prime notizie risalgono alla fine degli anni trenta). Tuttavia, la sua coltivazione è uscita dai confini delle province di Mantova e Verona (488 ettari coltivati nel 1949), per adattarsi un po’ a tutte le zone della pianura Padana, soltanto nel corso degli anni ‘60. E’ un riso semifino, ossia a chicco tondeggiante, simile a quello di molti risi comuni, ma ha nella sua genealogia una delle varietà, il celebre Vialone ormai scomparso, di più grande livello qualitativo tra i risi italiani, e ne conseva molte caratteristiche. Queste sue caratteristiche che ne fanno un tipo di riso ideale per insalate e soprattutto risotti, in particolare quelli con il pesce o le verdure, ne hanno aumentato e continuano ad aumentarne la diffusione sia come coltivazione (5.606 ettari coltivati nel 1999), sia come consumo, in particolare all’estero.
Il 1° luglio 1997 il Consorzio del Vialone Nano del Basso Veronese ha ottenuto per questa varietà prodotta in tale zona il riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta (IGP).
Le caratteristiche agronomiche e merceologiche delle 6 varietà di riso sono riportate nella tabella 1. Il Consorzio di Tutela e Valorizzazione delle Varietà Tipiche di Riso e delle Sue Tradizioni ha adibito nel suo apposito regolamento dei parametri precisi sui metodi di coltivazione e trasformazione delle varietà tutelate. Tale regolamento prevede che venga seguito quanto prescritto dalla direttiva 2078 UE relativa all’agricoltura ecocompatibile, con drastica riduzione dell’uso di concimi chimici, pesticidi, fitofarmaci e diserbanti. La coltivazione si basa quindi su concimazioni organiche, sovesci e rotazioni, per ottenere una produzione di qualità non di quantità (riduzione fino al 20% delle medie produttive consuete), per di più ottenendo un prodotto più “sano” e genuino.
Questa preoccupazione si verifica anche nella trasformazione del risone in riso bianco edibile, che avviene con macchine artigianali per ottenere una sbiancatura che, come è da sempre tradizione del riso italiano di qualità, si ferma al “secondo lavorato” cioè un tipo di lavorazione, codificato merceologicamente, che conserva una parte del pericarpo con presenza di germe.
Questo tipo di lavorazione è essenziale per definire la tipicità del prodotto, in quanto conserva ai chicchi le loro peculiari qualità organolettiche (profumo, sapore, tenuta di cottura, capacità di assorbimento di aromi e condimenti).
Zona di produzione
La coltivazionezione, la lavorazione e il confezionamento delle sei varietà di Riso del Po, (Arborio, Baldo, Balilla, Carnaroli e S. Andrea, Vialone Nano) avvengono nell’area geografica della valle di questo fiume, che comprende le regioni Piemonte, Lombardia, Emilia e Veneto.
All’interno di quest’area, la diversa diffusione delle sei varietà è relativamente significativa, in quanto tutte e sei sono praticamente coltivate e consumate in tutta l’area, anche se si possono individuare per ciascuna di esse delle zone dove più preferibilbente sono coltivate (e parallelamente consumate). Ciò dipende in gran parte da abitudini, sia agricole che alimentari, legate anche alla disponibilità di altri prodotti che meglio si accompagnano a ciascuna varietà nella preparazione di piatti tradizionali. Queste zone, in ordine di importanza per ciascuna varietà sono:
· per l’Arborio, le province di Pavia, Ferrara, Milano, Alessandria, Vercelli e Rovigo
· per il Baldo: le province di Pavia, Ferrara, Vercelli, Milano, Rovigo ed Alessandria
· per il Balilla: le province di Pavia, Novara, Vercelli e Milano
· per il Carnaroli: le province di Pavia, Vercelli, Ferrara, Verona e Novara
· per il S. Andrea: le province di Vercelli, Novara e Pavia
· per il Vialone Nano: le province di Pavia, Verona, Mantova, Milano, Vercelli, Ferrara e Alessandria.
La storia
L’introduzione del riso in pianura padana risale alla seconda metà del XV secolo. Nel corso di oltre cinquecento anni la coltivazione di questo cereale è diventata una delle principali attività agricole dell’intera zona e quella che più profondamente ne ha modificato paesaggio, insediamenti umani, organizzazione del territorio, cultura, stili di vita e abitudini alimentari. Se tradizionalmente si dice che gli italiani del sud sono mangiatori di pasta e quelli di Alpi e Prealpi mangiatori di polenta, quelli che abitano la piana del Po mangiano prevalentemente riso.
Le conservazioni di questa coltura, nelle sue caratteristiche tipiche riveste quindi un’importanza non solo economica ma anche sociale e culturale, per le radici che essa ha nella storia e nella tradizione. La documentazione in proposito è più che imponente, tanto che una bibliografia esaustiva non può certo essere contenuto nello spazio ristretto della presente scheda.