Piemonte del gusto. Più ombre che luci. Tra aziende cedute e tasse che strangolano. Turismo ultima spiaggia?

inserito il 10 Aprile 2012

Paesaggio piemontese (ph. Vittorio Ubertone)

Per i cattolici la Pasqua è festa di resurrezione. Per gli italiani, quella 2012 appena trascorsa, probabilmente è stata l’ultima occasione di festeggiare, in vista di una quaresima che promette di durare anni. E il Piemonte del gusto? Ha grandi attese, ma anche grandissimi timori. Diciamo la verità, in questi anni i piemontesi non hanno mai approfittato dei loro giacimenti golosi, delle loro eccellenze agroalimentari, persi come sono da beghe di campanile e liti da cortile.

Siamo troppo severi? Beh, andatevi a leggere le cronache sull'”affaire” Asti/Zonin, esempio splendente di tafazzismo sabaudo puro; o sulle polemiche nate in merito all’origine geografica del vitigno Erbaluce, conteso tra Torinese e Novarese (terra natìa del governatore regionale piemontese Roberto Cota); o sulle querelle intorno al riso, tra accuse e epurazioni; o ancora sull’università del Gusto di Pollenzo che, secondo alcuni a dieci anni (10 anni!) dalla sua inaugurazione, avrebbe dovuto sorgere nell’Astigiano e non a Pollenzo nel Cuneese.

Miserie umane che denotano, se ve ne fosse ancora bisogno, la scarsissima propensione dei piemontesi a far squadra e la loro vocazione ad un isolazionismo che viene abbanodoanto solo nel nome di un forte brand di riferimento. I casi Fiat e Ferrero sono esplicativi. Insomma se c’è il padrone del vapore i piemontesi s’accodano, in assenza litigano e perdono peso specifico commerciale.

Ad esempio nel comparto vino, il più trainante del Piemonte e quello di cui più ci interessiamo su questo blog per evidenti motivazioni economico-sociali, sono in corso sta trasformazioni radicali che in pochi sembrano cogliere.

Intanto stanno tramontando o sono già tramontate molte famiglie del vino che erano un po’ la risorsa principale dell’enologia piemontese.

Di grandi dinastie di vignaioli in Piemonte ce ne sono poche. Gli ultimi a capitolare sono stati i Gancia, quelli di Canelli, quelli che hanno inventato il primo spumante italiano. Dopo avere tentato molte strade, compresa la vendita porta a porta, hanno deposto le armi e venduto al solito oligarca russo. Il quale, al di là delle dichiarazioni, staremo a vedere se svilupperà l’azienda, come dice vuol fare, o trasferirà tutto in Ucraina dove tutto costa meno e i sindacati sono inesistenti. Perché se è vero che l’Asti e il Moscato d’Asti docg, per disciplinare, si possono vinificare e imbottigliare solo nella zona di produzione delle tre province di Asti, Cuneo e Alessandria, è anche vero che tutti gli altri vini spumanti e i Vermouth possono essere “assemblati” in tutto il mondo. Ne sa qualcosa Marchionne che sta trasformando la Fiat nella succursale degli Usa.

Per ora Gancia ha concordato con i sindacati “l’uscita dal ciclo lavorativo” di 17 addetti su 100. In ambienti vicino all’azienda si dice che il piano fosse pre-russi. La stessa cosa, ma che coinvolse più lavoratori, accadde nei primi anni Novanta, quando ci fu la cessione della canellese Riccadonna agli olandesi della Bols.

Si dirà che ad ogni cessione segue una riorganizzazione. Corretto. Ma resta il fatto che una volta per sviluppare le aziende si assumeva, oggi per salvarle si licenzia, si va in cassa integrazione, si prepensiona… Colpa della recessione globale, come sostengono tanti, o dell’incapacità di un’intera classe imprenditoriale ad adeguarsi a nuove regole e nuovi mercati, diciamo noi. Sì perché checché se ne dica in Cina, India, Brasile l’economia va in maniera ben diversa che in Italia…

Dicevamo delle famiglie del vino, per restare a Canelli, al comando di grandi marchi restano solo i Bosca, quelli della Bosca Cora e quelli della Tosti, e i Coppo. Il resto è in mano ad altri. Riccadonna è Campari da anni e ha sede in quel di Novi Ligure; Contratto è dei Rivetti, famiglia contadina di Castagnole Lanze che ha saputo creare un impero partendo dalle vigne. Di Gancia, che adesso vende in Italia la Vodka dei nuovi padroni russi, abbiamo già detto.

Fuori astigiano c’è Fontanafredda, da anni passata da Montepaschi al patron di Eataly, Oscar Farinetti; Barbero di Canale (Campari); Giordano di Alba, colosso del vino e dei prodotti tipici venduti per corrispondenza.

Tra le imprese meno storiche restano in mano famigliari, F.lli Martini, Toso, Capetta, Bava, Chiarlo e uno stuolo di grandi-piccole enogriffe tra cui spicca il fenomeno Gaja (Barbaresco) con il capostipite Angelo che ha saputo diversificare e allargare i confini commerciali di un’azienda famigliare fino a farla diventare un must, un marchio conosciuto in tutto il mondo e che travalica persino le denominazioni dei suoi vini. Naturalmente un caso unico.

Rimane la leadership enologica, ma condivisa con toscani e veneti che spesso riescono a piazzare meglio i propri vini facendo convivere, con sapiente gioco di squadra, valore commerciale e volumi di mercato. Il caso del Prosecco insegna.

Per il resto il Piemonte del gusto è un arcipelago di bontà poco conosciute persino in Italia.

Tra i formaggi il gorgonzola, campione di vendite anche all’estero e vittima di mille taroccamenti, è considerato lombardo, nonostante la sede del Consorzio di Tutela e parte dei Comuni di produzione siano in Piemonte. Gli altri formaggi piemontesi sono nicchie commerciali.

Lo stesso per i salumi che, nonostante picchi di eccellenza, non sono decollati. In salumeria si chiede il salame di Felino, il prosciutto di San Daniele e di Parma (spesso fatti con cosce di maiali piemontesi), la bresaola della Valtellina, la mortadella Bologna, lo speck dell’Alto Adige.

E anche la frutta non ha avuto buona sorte. Le mele trentine, per esempio, in immagine e comunicazione hanno surclassato quelle piemontesi.

La recessione e le nuove tasse non aiutano l’agroalimentare. I consumi si sono contratti, l’Iva più alta e i balzelli sui terreni e le imprese agricole, non aiutano.

C’è la consolazione della Ferrero di Alba, colosso multinazionale in mano alla famiglia che, in controtendenza, ha shopping e investe in Italia e all’estero puntando su intramontabili Nutella e merendine; di Eataly, il supermercato del gusto lanciato da Oscar Farinetti che è sbarcato con successo a New York; di Slow Food, movimento agro-politico di Carlin Petrini che punta alle eccellenze italiane e mondiali, ma anche alla sostenibilità degli scambi commerciali, delle colture e culture; e della Saclà di Asti famosa e non troppo celebrata azienda che esporta in tutto il mondo sottaceti e sughi…

Nonostante ciò più ombre che luci sul Piemonte del gusto. Anche se non mancano barlumi di speranza, che come si sa è sempre l’ultima a morire. Due  ipotesi su tutte: L’Expo 2015 di Milano e il progetto Unesco che candida di paesaggi vitivinicoli piemontesi a patrimonio dell’Umanità e che è partito, dieci anni fa, proprio dalle cantine storiche di Canelli, le cosiddette Cattedrali sotterranee del vino e dello spumante.

Per quanto riguarda la kermesse mondiale meneghina, con tutte le code polemiche che sta portando, c’è da sperare che porti davvero benessere e lavoro non solo alle archistar e alle imprese, ma anche ai territori vicini. Il Piemonte si è proposto, ma resta da vedere quanto i flussi turistici che l’Expo creerà si indirizzeranno verso Torino. Anche in questo caso i competitor sono tanti e agguerriti.

Il progetto Unesco, invece, pur tra mille dubbi, sembra essere approdato con favore al rush finale. La proclamazione, se ci sarà, è prevista tra fine giugno e inizio luglio a San Pietroburgo. È l’ultima occasione per il Piemonte del gusto di fare il salto di qualità, per affacciarsi alla finestra del mondo con in mano le carte migliori. È un treno da non perdere. Il momento economico lo impone. Ma i piemontesi ne sono consapevoli? La gente in gran parte sì, gli imprenditori più o meno, i politici per la maggior parte no. Ed è quest’ultimo elemento che preoccupa. Come sempre.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

9 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. Gianni Bosso 3 Maggio 2012 at 10:49 -

    Mi riallaccio a quello che dicevi a proposito di Expo2015 e candidatura Unesco e vocazione turistica per raccontarti un piccolo aneddoto circa il Museo del Risorgimento appena inauguarato ad Asti.
    Prima una piccola premessa : credo saremo tutti d’accordo che un sistema museale sia formato da muri, quadri ecc.ecc e da servizi.
    Beh, ti consiglio di andare a visitare quelli del Museo del Risorgimento di servizi ( igienici 🙂 ).
    Dire fatiscenti è dire poco !
    E, a mio avviso, sono un bel esempio di quello che in Italia si intenda per sistema museale.
    Non bastano quadri e statue ma che ci vogliono : aree relax, aree dedicate al merchandising, nursery, caffetterie, zone pedonali ecc ecc.
    Se non adeguiamo l’offerta agli standard europei non possiamo credere veramente di proporci come polo turistico/enogastronomico.

    Gianni Bosso

  2. filippo 17 Aprile 2012 at 14:42 -

    concordo, eccome se concordo!

  3. Claudio 17 Aprile 2012 at 11:38 -

    @Filippo. Giuste considerazioni, anche se si rischia di sconfinare nella retorica (e lo dico in senso buono) e nella banale polemica da piazza. La visione delle cose è corretta, ma non dimentichiamo che proprio i cittadini che parlano di cultura locale come “patrimonio da difendere”, spesso sono i primi a rinnegarla. Polemizzavo tempo fa con un signore che si lagnava dell’espansione commerciale cinese: inutile lamentarsi se poi siamo noi i primi a d acquistare ciarpame per spendere meno. Personalmente acquisto abitualmente prodotti tipici (formaggi, salumi, vini, marmellate, composte, ecc) da produttori locali proprio per sostenere, nel mio piccolo, queste importantissime realtà. Quanti sarebbero disposti a fare altrettanto?
    L’esempio non arriva neppure dalle istituzioni: parlare di “cultura da valorizzare” per poi chiamare Piemonte Land of perfection un consorzio nato con lo scopo di “determinare le strategie di valorizzazione delle denominazioni piemontesi” mi sembra una doppia barzelletta: per definire il Piemonte “territorio di perfezione” quando ci sono intere aree deturpate da capannoni e impianti fotovoltaici, ci vuole un bel coraggio! e pensare di valorizzare il locale utilizzando sempre terminologie inglesi per darsi un’aria “international” è proprio da provinciali… (tanto la sostanza è quella che è).

  4. giovanni bosco 14 Aprile 2012 at 14:11 -

    @Giorgio….ricordandoci ogni tanto di quel proverbio Masai (grande popolo africano) che recita “La terra (ma anche la calda coperta) non ci è stata donata dai nostri padri, ma ci è stata imprestata dai nostri figli”
    Buon Moscato d’Asti

  5. Giorgio 12 Aprile 2012 at 08:41 -

    Stanisław Jerzy Lec, scrittore, poeta e aforista polacco diceva: “Non fidatevi degli uomini! Sono capaci di grandi cose”.

    Certo che è così! Sono sicuro che noi italiani, popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti, di cognati… ne verremo fuori alla grande, …… magari in zona Cesarini!

    Come dici giustamente, occorrerebbe toglierci dalla calda coperta che ci hanno consegnato le generazioni passate e rimboccarci le maniche, prima che sia troppo tardi.

  6. filippo 12 Aprile 2012 at 08:15 -

    @Giorgio: siamo già alla delega? passiamo la palla ai posteri? Sarò un inguaribile ottimista (o ingenuo, a scelta), ma resto convinto che ora e subito si debba e possa fare qualcosa. Basterebbe volerlo. A rischio di cadere nella semplificazione io vedo una classe di imprenditori che hanno tirato i remi in barca, una rete bancaria che non dà più l’ombrello neppure quando c’è il sole figuriamoci se piove, e lasciamo perdere la classe politica. Lo scatto d’orgoglio dovrebbe essere delle generazioni attuali e l’intelligenza dovrebbe essere quella di mettersi in gioco… ma, francamente, vedo poco coraggio e poca voglia. Si preferisce, parlo in generale, stare in un cuccia sicura, magari poco accogliente e con mille spifferi, ma lontano da una bufera che forse, fa più paura che danni reali…

  7. Giorgio Zanatta 12 Aprile 2012 at 07:27 -

    La situazione che hai brillantemente esposto è figlia di un’ Italia malata gravemente.
    C’è da augurarsi che le nuove generazioni, con uno scatto di orgoglio ed intelligenza, sappiano cogliere le innumerevoli opportunità che il nostro Bel Paese offre.

  8. filippo 11 Aprile 2012 at 20:04 -

    @Stefano: grazie, troppo buono… e Buona Pasqua in ritardo… (mannaggia!)

  9. Stefano 11 Aprile 2012 at 18:07 -

    Complimenti Filippo per la bellissima e esaustiva panoramica del nostro mondo!! di sicuro c’è di che pensare!!!

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