Cominciamo dalle amarezze. Il Palio “anticipato” alla prima domenica di settembre (e non alla terza) non ha portato la diretta Rai della finale, interrotta (non è la prima volta) per il protrarsi delle operazioni di preparazione alla finale. Peccato. Lo diciamo sempre e lo ripetiamo: misurare i tempi prima e garantirsi la diretta della tv pubblica potrebbe essere un modo per gratificare chi il Palio di Asti lo organizza e vive e fare pubblicità all’evento, alla città e al territorio. Ma vabbè oltre a dirlo bisogna anche farlo.
Il sindaco, Maurizio Rasero, ha voluto un Palio anticipato di una quindicina di giorni rispetto alla tradizionale data. Il clima, però, ha fatto temere il peggio. Le prove di sabato non si sono svolte per paura che la pista si deteriorasse. Avere a che fare con il meteo non è come amministrare un Comune.
Lo slogan del dopo Palio è “finalmente ha vinto un fantino astigiano” e anche “non siamo la succursale di Siena”. Sul primo concetto non si discute. Il giovane Federico Arri si è imposto con una gara perfetta beffando fantini con più esperienza. E ha regalato il Palio 2018 al Comune di Moncalvo. Gli astigiani di città sono amareggiati, come sempre quando a portarsi via il drappo è un paese di quello che qualcuno chiama “contado”, ma senza il quale Asti città sarebbe davvero monca. Quindi, okkei gli sfottò, ma per favore stiamo coi piedi per terra. Sul “non siamo la succursale di Siena” non ci mettiamo la mano sul fuoco. I senesi continuano a essere i “superman” di un Palio che hanno fatto crescere e che rimane il top in Italia. Per cui gli astigiani si mettano il cuore i pace e, magari si impegnino a tirare fuori dal cilindro nuove idee per una festa che merita.
Infine un accenno all’annosa polemica tra paliofili e animalisti. Ci sta, ci mancherebbe, che qualcuno sia contrario al Palio. Il gesto di stracciare i manifesti di chi non apprezza la corsa dei cavalli non è giustificabile e chi lo fa si mette fuori dalla democrazia e dalla decenza. Essere contrari e anche avversi a un’idea non significa sentirsi liberi di tappare la bocca a chi non la pensa come noi, è una questione di civiltà e rispetto, senza scomodare Voltaire, merce sempre più rare di questi tempi, e chi rappresenta le istituzioni pubbliche ha il dovere morale ed etico, oltre che civile, di difendere le idee di tutti, anche quelle non condivise. Non è comunismo né buonismo. Si chiama democrazia.
Qui sotto il reportage di Vittorio Ubertone con tutte le fasi salienti della corsa 2018, dalla sfilata alle batteria alla finale.
SdP