Novità. Da Francia e Usa il prêt-à-boire, cioè il vino nel bicchiere monouso, come lo yogurt o il thè

inserito il 22 Marzo 2010

Il vino come una famosa bibita a base di thè o lo yogurt. Cioè dentro ad un bicchiere di plastica chiuso da una pellicola che si toglie a strappo. È il prêt-à-boire, ossia il fast-drink o il “pronto da bere” nato sulla scia del prêt-àporter, la moda pronta da mordi e fuggi, in questo caso bevi e scappa.

L’ultimo confine dell’eno-marketing, l’ultima trovata in materia di consumo di vino è il bicchiere monodose, buono, dice la pubblicità, per evitare abuso d’alcol ed etilometri, insieme al fastidio di avere tra le mani bottiglie di vetro che in certe occasioni non sono ritenute comode.

Sembrerebbe la solita americanata, e invece l’inventore di questo eno-uovo di colombo è stato un francese: tale Pascal Carvin che, stando alle cronache, nel 1995, novello Archimede con il gusto dell’enologia (e del business), cominciò a pensare ad un modo di proporre il “vino portatile”, come fosse un telefono cellulare.

E così, dopo alcuni brevetti, lancia sul mercato un bicchiere in pet che contiene vino e un gaso che preserva il liquido, il tutto chiuso da un paio di pellicole che preservano la bevanda e assicurano la portabilità del contenitore. Nasce “1/4 Vin” (http://www.quartvin.com) società che commercializza concetto e know-how del prêt-à-boire  che non viene riservato ai vinelli da pronta beva, ma azzarda maritaggi anche con “appellation” di rilievo che, specie per i mercati non francesi, come ad esempio il Regno Unito, non disdegnano il nuovo contenitore.

I bicchieri-vasetto sono di varie dimensioni: da 2 a 25 cl. Ci sono forme classiche e innovative. Denominatore comune il pet, sistemi di chiusura e portabilità del vino.

Dall’Europa anglofona agli Stati Uniti il passo è breve. E qualche anno fa i bicchieri monouso di Carvin vengono notati da alcuni appassionati di vino americani che fiutano il business e l’innovazione. Pochi mesi fa la società Copa Di Vino (www.copadivino.com) avvia un commercio di “one-glass-wine” in alcuni Stati Usa.

Nel bicchiere da 187 ml finiscono Merlot, Cabernet Sauvignon e Chardonnay, «Ma altre varietà della zona del Pacific Northwest arriveranno entro il 2010» dicono i partner americani di Carvin. I soliti americani enosbruffoni? Non proprio: infatti il prezzo al pubblico suggerito da Copa di Vino per il suo vino ready-to-drink è di 2,99 dollari Us, circa 2 euro cioè di più, molto di più di un vino in brik, per il quale, in Italia, si deve sborsare tra 1 e 1,70 euro, però per avere un litro di prodotto. Meditate gente, meditate.

Filippo Larganà (Filippo.largana@libero.it)

3 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. Adriano Salvi 24 Marzo 2010 at 11:16 -

    Sintetizzando: che tristezza…

    sarà pure marketing…..ma un vino nella stessa confezione dell’Estatè, per me che già malsopporto i tetrabrick mi darebbe una malinconia infinita…..se proprio questo proibizionismo deve colpire ancora vorrà dire che berrò solo acqua…sono abbastanza vecchio per vivere di ricordi e pensare nel tempo che mi resta ai bei momenti vissuti brindando con vino buono in bottiglia di vetro…..

  2. filippo 23 Marzo 2010 at 17:54 -

    Secondo me anche molti francesi e molti yenkees ne farebbero (e ne faranno) a meno. Però c’è da considerare che questi qua evidentemente hanno trovato una fetta di mercato scoperta… sennò mica si mettevano a far registrare brevetti e avviare aziende. Ed è proprio questo che mi preoccupa, mentre c’è un settore, diciamo così, paraenologico (e paraculo!) che si agita, sperimenta, innova, dall’altra parte c’è un comparto vinicolo immobile o quasi che dal punto della comunicazione è fermo al medioevo o quasi, che ancora non usa e-mail e Internet, che lascia morire d’inedia e di noia i siti web (quando li ha!), che guarda ancora l’e-commerce come fosse n’a roba arrivata da Marte, che percepisce i social-network come strumenti che vanno bene per studentelli foruncolosi e nulla facenti e i blogger come gente che non ha un tubo da fare e si diverte a tenere un diario on-line. Ecco in questo senso il vino nel pet lo giudico una boiata, ma comunque un segnale di business creativo. Il resto, mi sembra, è il deserto dei tartari…

  3. Tigullioweb 23 Marzo 2010 at 17:02 -

    Come italiano potrei anche dire che del vino monouso nel pet non ne sentivo la mancanza… contenti loro 😛
    ciao – Tigullioweb

Lascia un Commento


I commenti inviati non verranno pubblicati automaticamente sul sito, saranno moderati dalla redazione.
L’utente concorda inoltre di non inviare messaggi abusivi, diffamatori, minatori o qualunque altro materiale che possa violare le leggi in vigore.
L’utente concorda che la redazione ha il diritto di rimuovere, modificare o chiudere ogni argomento ogni volta che lo ritengano necessario.