Norma beffa: la legge vieta di dire che il Barolo si fa in Piemonte. Poggi (Fivi): «Assurdo! Ora multateci tutti!». Faccio (Confagricoltura Piemonte): «Uno scandalo»

inserito il 21 Novembre 2014

Da alcuni mesi la storiella saltava di bocca in bocca: un noto produttore di Barolo multato (si parla di 20 mila euro, ma la notizia non è confermata) per avere scritto “Piemonte” sulle etichette del suo Barolo che si fa, per l’appunto, in Piemonte. Sembrava una barzelletta. Invece è tutto vero. Lo conferma a SdP Matilde Poggi, presidente della Fivi, la federazione italiana che raggruppa 800 vignaioli indipendenti, tirata in ballo da Carlo Petrini che in un lungo articolo pubblicato da Repubblica oggi, 21 novembre, ha fatto emergere l’ennesima beffa di una burocrazia becera e cieca che il fondatore di Slow Food e Terra Madre ha definito un «goffo, miope e affamato gabelliere».

Carlo Petrini (Slow Food)

Carlo Petrini (Slow Food)

Dice Poggi, produttrice di vino in Veneto: «Sì la storia è vera. Alla base c’è la confusione tra etichetta e comunicazione. Non so l’entità della sanzione, ma il produttore di Barolo è stato multato per avere indicato in etichetta la parola Piemonte come regione origine del vino, la quale parola, però, essendo anche una doc, secondo l’interpretazione ottusa della legge, è irregolare. La stessa cosa potrebbe accadere anche per l’indicazione Veneto o Sicilia che sono, oltre che delle indicazioni geografiche, anche indicazioni di vini Igt» annota Poggi.  La norma pare essere comunitaria e sarebbe stata applicata in modo ottuso, ma ligio alle regole Ue.

 

Matilde Poggi (Fivi)

Matilde Poggi (Fivi)

Un’assurdità che quelli della Fivi avevano già segnalato al Ministero dell’Agricoltura, retto dal ministro Maurizio Martina, mesi fa. Dice a SdP Poggi: «A giugno avevamo inviato una lettera al ministro chiedendo l’apertura di un ufficio ministeriale di controllo delle etichette, sulla scorta di quello che opera negli Usa. Non abbiamo avuto risposta. Del resto – aggiunge la presidente Fivi – gli uffici Repressione frodi, spesso interpellati dai produttori, non forniscono pareri ufficiali e vincolanti e allo stato esistono, come è successo recentemente in Piemonte, solo iniziative di esperti privati che si occupano di dare consulenze». Fivi, in questo senso ha contattato enti di certificazione terzi: «Ci hanno risposto che sarebbero pronti a dare il servizio, ma solo su incarico del Ministero».

Insomma la classica storia all’italiana: la burocrazia taglia le gambe alle aziende vessandole e nessuno sembra poterci fare nulla. «Speriamo solo che ora che i media se ne stanno occupando il Governo ci metta una pezza» commenta Poggi che intanto ha annunciato l’eclatante protesta della Fivi: «Se entro il 31 dicembre il Ministero non ci risponde tutti e 800 i vignaioli indipendenti nostri associati si autodenunceranno con un gesto di disubbidienza civile che, speriamo, faccia rinsavire burocrati e amministratori».     

Andrea Faccio (Confagricoltura Vino Piemonte)

Andrea Faccio (Confagricoltura Vino Piemonte)

Andrea Faccio, produttore vinicolo astigiano e presidente regionale del settore vino di Confagricoltura Piemonte plaude all’iniziativa di Fivi e rivela: «Quella storia la so da mesi. È uno scandalo. È ora che a Roma qualcuno si svegli. Altro che Slocca Italia! Il mondo del vino, come molti altri settori produttivi italiani, ha bisogno di regole certe e agili, di una burocrazia che agevoli e non inchiodi, che aiuti e non freni. Altrimenti non andiamo da nessuna parte».

E a proposito di “burocrazia palude” Poggi ricorda il progetto di “disboscamento burocratico” presentato dalla Fivi alla commissione Agricoltura del Senato e quella per agevolare la vendita di vino in Europa evitando la pratica dei depositi fiscali che fanno gravare pesanti spese sui vini italiani rendendoli meno competitivi in ambito Ue.

Insomma la battaglia per liberare le etichette italiane dalle catene dei burocrati/gabellieri nazionali e europei è solo all’inizio.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero,it) – foto di copertina tratta da wine-square.it

 

1 Commento Aggiungi un tuo commento.

  1. Michele A. Fino 22 Novembre 2014 at 11:25 -

    La sanzione riguardava l’uso di Piemonte e Langhe sul sito aziendale, ma la sostanza non cambia perché, a norma di legge, etichettatura sulla bottiglia, coartoni, sito, documenti aziendali sono equiparati.
    Questo permette a miopi e avidi gabellieri di dire “un fiorino” anche quando di usurpazione (che sarebbe il comprotamento vietato e sanzionato dalla norma) non vi è traccia.
    Infatti, quando un grande barolista spiega sul proprio sito dove si trova la propria azienda, vuole approfittare della rinomanza delle Langhe o del Piemonte o con il suo Barolo le illustra?
    Infine, se uno non può dire la regione geografica o politica dove ha sede la sua azienda, che senso ha parlare di UNESCO, promozione del territorio, accorciamento della filiera, turismo enograstronomico?
    Se Martina non ascolta, commette l’errore politico peggiore che possa compiere.

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