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No a un’altra “vendemmia della vergogna”. Il Piemonte del vino si chiede come affrontare il tema dei vendemmiatori stranieri stagionali. Tra intransigenze e aperture

Vendemmia della vergogna, caporalato, schiavi nelle vigne. Il Piemonte del vino si scopre politicamente scorretto, cinico, schiavista e anche un po’ stronzo. Ne hanno parlato i media nazionali che scoprono i “dannati delle vigne”, i vendemmiatori dell’Est Europa giunti a Canelli, nell’Astigiano, per la vendemmia del moscato e di altre uve, senza lo straccio di un ricovero (figurarsi un contratto di lavoro) che spesso si riducono a dormire per strada o in accampamenti di fortuna.

Ne ha parlato alcune settimane fa Slow Food con un’inchiesta che ha scoperchiato il pentolone del caporalato delle Langhe dove operai stranieri (anche qui dell’Est Europa) sarebbero sfruttati e pagati pochi euro l’ora per curare le vigne di Nebbiolo da cui si fa il prezioso e costoso Barolo. Un altro scandalo finito sui media nazionali con, ovviamente, contorno di discussioni e polemiche.

Nella Capitale piemontese dello spumante la cosa va avanti da un paio di anni. E gli scoopisti ad oltranza ci hanno inzuppato il biscotto. L’amministrazione comunale (di centrodestra) ha cercato, a volte goffamente, di metterci una pezza. Inutilmente. I titoloni: “A Canelli la vendemmia della vergogna”. Inevitabile.

Prima c’era stato il caso Saluzzo con una tendopoli costruita per i braccianti stranieri. Qualcuno aveva evocato Rosarno, la città calabrese teatro di sfruttamento e scontri con gli immigrati che raccolgono i pomodori. Indecente.

Ora si riparte dai vendemmiatori di Canelli. Il sindaco della città, Marco Gabusi, che nel frattempo, per le combinazioni astrali della politica locale, è diventato anche presidente della Provincia, in vista della campagna vendemmiale 2015 ha incontrato l’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte, Giorgio Ferrero (Pd) insieme a rappresentanti delle associazioni agricole e Consorzi vinicoli. Tema: che facciamo quando arrivano i vendemmiatori stranieri?

Gabusi è stato categorico: no ai centri di accoglienza sul territorio canellese. «Ci sono problemi di ordine pubblico – spiega a SdP -. Poi stiamo parlando al massimo di settanta/ottanta persone. Canelli ha già dato negli ultimi due anni. Vorrei sapere come mai altri Comuni, magari con sindaci più aperti di me, non si fanno avanti per mettere a disposizioni strutture e centri di accoglienza». Sorgono dubbi.

Ecco, le strutture. L’assessore Ferrero sembra contrario a ripetere in chiave astigiana l’esperienza della tendopoli saluzzese. «Non risolve il problema – ammette e annuncia -. La Regione è disposta ad investire risorse, insieme al Consorzio dell’Asti. Ma dal territorio deve venire la buona volontà: troviamo immobili liberi che possano accogliere al meglio e dignitosamente quei migranti che vengono qui per lavorare, con un contratto in regola. Gli irregolari e chi non trova lavoro sono un altro discorso». Certo, ma Gabusi avverte: «Niente di tutto ciò avverrà a Canelli. Quest’anno non permetteremo la vergogna, quella sì, di accampamenti abusivi e ricoveri di fortuna. Ne va della dignità di una città che ha sempre praticato l’accoglienza, sin dai tempi dell’immigrazione dal Sud Italia, ma solo verso chi dimostra di arrivare con voglia di lavorare dentro i limiti della legalità».

Ora si attendono i bus con i vendemmiatori da Macedonia, Bulgaria, Romania, Albania e altri Paesi dei Balcani. Già si parla di una stretta dei controlli delle Forze dell’Ordine, di maggiori verifiche sulle cooperative (i cui titolari spesso sono stranieri) che offrono lavoro tra i filari. Si parla di ordinanze comunali per impedire tendopoli e accampamenti.

Insomma Canelli e il Piemonte non vogliono più i titoloni che li indicano come terra di sfruttatori. C’è un danno d’immagine, oltre alla sensazione (ma quella sembra ci anche a livello nazionale) di non essere in grado di affrontare l’emergenza immigrazione, a qualsiasi latitudine e di qualsiasi entità si tratti.

Ma basterà trovare una sistemazione ai vendemmiatori “homeless”? In molti sono convinti che il problema debba essere affrontato alla radice: colpire, attraverso Forze dell’Ordine e l’applicazione delle leggi italiane, chi dà lavoro irregolare; pretendere dai vendemmiatori stranieri, pena l’allontanamento come accadeva agli italiani che andavano a lavorare all’estero negli Anni Cinquanta e Sessanta, un contratto di lavoro in regola, l’indicazione di un alloggio, la dimostrazione di essere in grado di vivere secondo le leggi italiane e europee. In un Paese normale questo sarebbe scontato. In un Paese normale.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

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