Dark Mode Light Mode

Vino caos. Il Wall Street Journal celebra Asti e Moscato e parla di “Asti-ization”. E i piemontesi litigano e perdono tempo

Il Wall Street Journal parla di Asti e del Moscato, ne parla bene, addirittura come un trend di moda. E nel Sud Piemonte, invece di cavalcare l’onda produttori e consorzio che fanno? Litigano tra loro.

È l’ennesima assurdità legata ad un modo, quello del vino piemontese, che non riesce a diventare adulto. Ma andiamo con ordine. Pochi giorni fa il Wsj, uno dei più autorevoli e diffusi quotidiani Usa, pubblica un articolo (la versione originale qui) di Lettie Teague, una giornalista esperta di vini e cibo, tra le firme più famose del foglio americano. Il pezzo è intitolato: “The Asti-ization of America” cioè “L’Astizzazione dell’America”.

Lettie Teague (Wall Street Journal)

Ebbene che scrive Lettie? In pratica racconta della stagione di successi che stanno avendo in Usa l’Asti spumante e il Moscato d’Asti docg. La collega del Wsj riferisce di consumatori impazziti per le bollicine dolci piemontesi con vendite più che raddoppiate e parla del suo amore per l’altro vino da uve moscato, cioè il Moscato d’Asti “tappo raso” di cui elogia gli aromi e il basso contenuto d’alcol (cita anche tre maison: Saracco, Ceretto e Rivetti) chiudendo il suo articolo con una previsione, che il Moscato conquisterà non solo l’America, ma il mondo.

Ora, uno, appena lette le belle parole di Lettie, potrebbe anche esultare, potrebbe anche essere preso dalla voglie di stappare una bottiglia di Asti e Moscato, e festeggiare.

E invece poi apri i giornali e scopri che quei balenghi di piemontesi invece di fare squadra e affilare le armi sfruttando la corrente, il trend, la moda o quello che è, che fanno? Litigano, si accapigliano, si mandano anche un po’ a quel paese facendo la figura, quanto meno, dei fessi.

Insomma da associazioni di categoria, consorzio, produttori, aziende e cantine, ci si aspetterebbe un minimo di strategia comune. Al contrario, ora che il mercato tira, sorgono intoppi che all’uomo comune appaiono assurdi. In breve: da una parte ci sono Consorzio di tutela e aziende (industrie e cantine sociali) che chiedono di assecondare le richieste dei mercati consentendo di aumentare la produzione di Asti e Moscato; d’altra sindacati rurali, Assomoscato e altre sigle (come la Moscatellum) tirano il freno a mano palesando timori di speculazioni che potrebbero danneggiare il futuro del Moscato.

Posizioni opposte che neppure un summit convocato qualche giorno fa ad Asti ha fatto avviccinare di un centimetro. Anzi, come è stato riferito a Sdp, c’è stato l’ennesimo scontro a base di battute, accuse e veleni.

Bisogna subito dire che di questo passo non si va da nessuna parte. Continua a mancare l’intesa, la lungimiranza, la voglia di trovare un punto di contatto per far girare bene la macchina.

E invece ognuno tira per la sua direzione. È ovvio che il carro resta fermo o, nella migliore delle ipotesi, si muove molto lentamente, mentre altri carri, a guida più accorta, viaggiano più velocemente. È il caso di Emilia, Veneto e Oltrepo che stanno piantando moscato a gogo. Non sarà come il Moscato, ma lo venderanno con quel nome anche primo del suffisso Asti. Senza contare che in Usa di Moscato, e buono, ne fanno già.

Che dire in conclusione? Che si avvicinano le feste di fine anno, il clou per le vendite di Asti e Moscato e che il regalo più bello per il Sud Piemonte sarebbe quello di trovare un’intesa, una cabina di regia per tutelare il moscato che è, per citare l’enologo Giuliano Noè, una risorsa enologica e economica.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

View Comments (8) View Comments (8)
  1. @Contadina verace (accidenti! questo anonimato mi uccide, ma non importa…): siccome sono un inguaribile ottimista (mia moglie dice che un po’, però, m’illudo) spero che le riflessioni oggi li facciano in tanti. magari giovani e magari capendo che, in campagna come in altri settori, non basta più pensare solo a produrre, bisogna anche interessarsi a quello che accade fuori dai filari. Ragionamenti da incubo? Beh, ce ne sono dappertutto, apri i giornali di stamattina e vedi che ragionamenti da brividi fanno i nostri politici! Quanto al connubio donna-contadina lasciami dire, per quanto vale il mio pensiero, che è un mix fantastico e brillante e i tuoi pensieri, che ospito più che volentieri di Sdp, ne sono un esempio lampante e dire confortante. Che vuoi, io sono stato sempre dalle parte delle donne, sono – fatte le debite eccezioni che confermano ecc.. ecc.. – più affidabili, più intelligenti, più oneste, più impegnate, più passionali, più lungimiranti, più longeve (haimè) e anche, a mio parere, più sexy e belle (l’ho detto!).

  2. Ehilà Filippo, ben tornato! L’importante è parlarne poi se le opinioni non concordano non importa…d’altra parte se tutti avessimo lo stesso punto di vista sarebbe una noia bestiale! Ma non t’illudere questi ns interventi faranno riflettere me, te e pochi altri moooolto pochi fidati. I vignaioli non hanno tempo da perdere loro devono piantare e coltivare, coltivare e piantare altro che perdere tempo con queste sciocchezze! Speravo in qualche giovane ma ho dovuto ricredermi certi ragionamenti m hanno fatto accapponare la pelle. Ma che vuoi sono donna e pure contadina un connubio che non lascia sperare niente di buono.

  3. @Contadina verace: concordo su tutto, tranne che su “piccolo è bello”… e grazie del tuo intervento che credo farà riflettere molto me e, speriamo, tanti altri che vivono “tra i filari” (però secondo me ci stiamo tutti tra i filari perché la nostra economia dipende da lì). Che i vignaioli comincino ad interrogarsi su questi temi lo trovo un segnale incoraggiante… no?! p.s.: postato alle 0:53:11 di questa notte! Eppoi dicono che la gente di campagna va a letto con le galline… (a me però viene l’abbiocco già alle 9 di sera)

  4. No,no,no mi rifiuto di buttarmi nella discussione. Sappiamo bene entrambi quanto sia complesso l’argomento e solo per disquisire sui punti che hai toccato con le tue 16 righe ci vorrebbero secoli. Per quanto trovi affascinante la complessa materia del marketing il m esposto voleva toccare concetti molto semplici. Con il riferimento ai costi di produzione ho voluto semplicemente evidenziare, senza tante polemiche, quella che è la realtà dei fatti: le piccole aziende agricole stanno sopravvivendo a fatica e per arrivare a questa constatazione non è necessario essere dei luminari in economia, basta un semplice 2 + 2. Mi avvilisce constatare che proprio molti dei m colleghi evitano con cura di renderse conto impegnati come sono in calcoli propri di dubbia convenienza. Detto ciò va da sè che sicuramente gli industriali hanno le loro esigenze per commercializzare il prodotto ma m auguro che fra le varie strategie non si punti troppo su un ulteriore ribasso del prodotto uva…ciò m porterebbe a ipotizzare o a un collasso del comparto “piccoli viticoltori” o a un revival del feudalesimo.
    E sì, sono convinta che i prodotti “veri” siano fatti dalle medio-piccole realtà…le industrie fanno i numeri e i numeri molto spesso devono venire a patti con la qualità (qualità intesa in senso molto ampio). Ti concedo però che non tutti lavorano con etica. Siamo tutti anche consumatori e in quanto tali quando conosciamo un prodotto e se lo vogliamo acquistare di qualità lo andiamo a cercare con il “lanternino” o almeno io faccio così che si tratti di vino, di cibo, di abbigliamento, di….Sì,è vero, so che sono prodotti di nicchia come m rendo conto che il mercato richiede anche e soprattutto prodotti di largo consumo. L’industria è necessaria? Certo ma dove credi che viva? Ogni tanto esco anch’io dal filare! L’industria crea posti di lavoro, l’industria porta sul mercato beni accessibili ai vari targhet di consumatori e se non ci fosse l’industria con tutto il nostro Asti dovremmo anche farci anche il bagno. Ma l’industria non è un ente di beneficenza e se s’interessa all’Asti e al moscato non lo fa per darci di che vivere ma per proprio tornaconto come è logico che sia … direi che siamo noi produttori a non farci i nostri interessi. Già che ci sono t espongo ancora un altro m punto di vista. Sarà anche vero che le case spumantiere stanno allargando i confini del “tappo raso” dandoci nuove prospettive di sviluppo ma vi si sono interessate solo dopo che le fatiche di alcuni bravi piccoli vinificatori hanno creato un mercato ed un interesse per esso. Quando gli industriali hanno capito che c’era businnes anche lì ci si sono buttati a pesce e non credo per filantropia. Il m timore è che l’interesse dell’industria finisca con lo svilire l’immagine e il target del “tappo raso” (ma quand’è che gli cambiamo nome?). Francamente credo che il comparto dell’Asti e del “tappo raso” nel suo insieme abbia bisogno di tutti: dell’industriale, del piccolo vinificatore, del viticoltore e di chiunque graviti naturalmente intorno al settore. Dovremmo però lavorare tutti un pò meglio e impegnarci a collaborare un pò più profiquamente.

  5. Cara Contadina verace, prima di tutto mi piace la tua passione e il modo in cui parli (e scrivi) di moscato. Concordo con la critica anti-individualismo e miopia commerciali del mondo del vino piemontese. Meno sul resto. I margini di guadagno non dipendono solo dai costi di produzione. Non c’è bisogno di avere un Master alla Bocconi per sapere che un prodotto diventa economicamente interessante anche in presenza di un marketing e una comunicazione efficaci. Non mi sembra il caso del Moscato su cui pesa, come sull’Asti, un assordante silenzio. Tu sostieni che i prodotti tipici, “quelli veri”, li fanno le piccole aziende? Ho qualche dubbio. Credi che l’Asti, che vende 80 milioni di pezzi l’anno, non sia legato al territorio nonostante si faccia con la stessa uva con cui si fa il Moscato solo in 52 Comuni del Sud Astigiano? Mentre tutto (tutto) il Moscato docg vinificato da piccole cantine è sempre ottimo? Ed è una piccola cantina quella che fa mezzo milione di bottiglie l’anno di Moscato docg e anche di Moscato Piemonte (ce ne sono tra Canelli e Castiglione Tinella)? Il discorso, come vedi è complicato. Se no ci fossero state le case spumantiere che hanno puntato (e fatto utili) con l’Asti e oggi puntano sul “tappo raso”, oggi il Moscato sarebbe una nicchia, splendida fin che si vuole, ma una nicchia che darebbe reddito a poche famiglie su poche colline. Mi viene in mente la Nutella. Se Ferrero fosse rimasto un piccola pasticceria di Alba e la sua crema spalmabile una piccola golosità “tipica locale” certamente avremo una multinazionale e molti, moltissimi posti di lavoro in meno. Beh, su questi argomenti a me capita di riflettere e parecchio…

  6. Se vogliamo criticare il produttore facciamolo pure ma per la sua spiccata propensione all’individualismo o perché non ha voglia di guardare oltre il suo naso. Per quanto riguarda i margini … beh di certo non ci facciamo ricchi. Il moscato, quello buono, si fa sulle colline dove le lavorazioni meccaniche sono spesso vere e proprie esibizioni acrobatiche. Non mi prolungo ma chi conosce bene l’argomento sa bene che i costi di produzione sono alti e che vendiamo il nostro prodotto ad un prezzo inferiore al costo di produzione che é stato stimato intorno ad 1 euro al kg…ci salviamo, è vero, ma solo preché non paghiamo la manodopera essenziale e cioé la nostra. Qualcosa nel sistema sicuramente non funziona e probabilmente manca informazione: al consumatore sull’identità e la storia del prodotto, all’universo che ruota intorno al “mondo moscato” che giudica basandosi su informazioni frammentarie. Amo il mio lavoro, amo il moscato, la sua storia e le sue colline. I prodotti tipici, quelli veri, legati al territorio, si fanno nelle piccole aziende agricole che però faticano a stare in piedi.

  7. è il solito copione che viene messo in scena dagli anni ’70.
    I produttori insistono nel non capire che senza margini adeguati e senza piani congegnati nel medio termine nessun industriale può investire e continuano nel volere”tutto e subito”
    .Il Consorzio non riesce a mettere d’accordo le troppe Associazioni di produttori che come filosofia hanno il “da soli è bello” (del resto l’associazionismo qui non è mai attecchito) e gli industriali se ne escono per concentrarsi su prodotti “loro”.
    Insomma: batti forte e spera in Dio..come sempre.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Previous Post

Ecco che arriva il SuperGavi, tra tappo raso e bollicine, che punta a conquistare i palati fini di Italia e mondo

Next Post

Vendemmia Piemonte 2010. Dalla raccolta 3 milioni di ettolitri di vino (+6%). Al top Asti e Moscato

Pubblicità