Moscato. Firmato l’accordo sulla vendemmia 2010. Resa a 105 quintali/ettaro e 9,72 euro al “miria”

inserito il 6 Settembre 2010

Ci sono volute nove ore di trattative, ma alla fine l’accordo sulle uve moscato è stato firmato. Industrie e viticoltori hanno trovato un punto di contatto a vendemmia già cominciata. La resa per la raccolta 2010 è stata fissata in 105 quintali/ettaro. Il prezzo sarà di 9,65 euro al miriagrammo, come lo scorso anno, a cui, però, bisogna sommare 70 centesimi di euro, sempre al miriagrammo (il prezzo totale sarà quindi di 9,72 euro), che andranno alla parte agricola che potrà gestirli come valorizzazione del prodotto o tenerli in un fondo. Per il 2011 e il 2012 le rese andranno a 100 quintali e il prezzo a 9,80. La novità sta nel fatto che le Case spumantiere, per i due anni a venire, hanno accettato di modulare le rese/ettaro rispetto ad un minimo e un massimo di riserve che oscillerà tra i 200 e i 240 mila ettolitri. Uno strumento che dovrebbe mettere al riparo dalle speculazioni di mercato più disinvolte, uno dei timori della parte agricola.

L’assessore regionale all’Agricoltura della Regione Piemonte, Claudio Sacchetto, mediatore della trattativa, non nasconde la soddisfazione: «Il reddito agricolo del moscato quest’anno aumenterà di quasi mille euro. È un bel segnale per il mondo agricolo. In più – aggiunge l’assessore – avere introdotto una novità importante come quella dei limiti delle giacenze, tra 200 e 240 mila ettolitri, mette al riparo da speculazioni e getta basi solide anche per gli anni futuri. Non è poco in un momento di congiuntura globale che sta colpendo duro molte produzioni agricole»

Il presidente del Consorzio di tutela, Paolo Ricagno, ha commentato positivamente l’intesa. «Ci sono richieste crescenti di Asti e di Moscato d’Asti tappo raso – ha detto a Sdp -. L’accordo firmato a Torino va in questa direzione e gli ultimi dati di vendita sembrano confermare: al 31 agosto l’Asti è cresciuto del 10% e il Moscato del 32 con un divario, rispetto allo scorso anno di 20 mila ettolitri, divario che sarebbe stato annullato se fosse stato autorizzato il passaggio di 12 mila ettolitri di mosto invenduto dalla tipologia Asti a Moscato d’Asti. per quanto riguarda il prezzo rilevo che si è parlato e discusso tanto per fissare non tanto il valore dell’uva, ma di una trattenuta che va alla parte agricola per la gestione dell’accordo». Quanto ai timori, espressi da alcuni rappresentanti di parte agricola circa il pericolo che logiche industriali possano danenggiare immagine e prezzi del Moscato d’Asti, Ricagno ha ricordato che, «il Moscato ha aumentato le vendite perché l’industria se ne sta interessando. Credo che manager e industriali sappiano come far valere questo prodotto al meglio».

Lorenzo Barbero, manager Campari e portavoce delle industrie, esprime una moderata soddisfazione della sua parte. «Avremo potuto arrivare all’accordo molto prima» dice e precisa alcuni aspetti dell’intesa: «Quest’anno le industrie pagheranno l’uva 9,65 euro al miriagrammo a cui bisogna aggiungere una quota per la gestione dell’accordo affidata alla parte agricola, un po’ come se la Fiat pagasse i sindacati per fare le trattative sul contratto, e 0,32 centesimi ogni 10 chilogrammi per il piano di rilancio. In definitiva pagheremo oltre un euro, ma ai contadini andranno 9,65. Un controsenso». C’è poi la questione della qualità delle uve. «Vorremmo pagare di più le migliori partite e non pagare tutta la produzione allo stesso modo» afferma Barbero.

Dino Scanavino, vicepresidente nazionale della Cia (agricoltori) e viticoltore a Calamandrana, in provincia di Asti, nonostante i contrasti giudica buono l’accordo: «Se non altro porta nelle tasche dei contadini dai 6 ai 700 euro ad ettaro in più. Non è poco in un momento di crisi come questo con uve, come la barbera, che sono al di sotto della soglia di sopravvivenza».

Ma l’intesa non piace a tutti. Assomoscato, l’associazione che raggruppa poco più di duemila viticoltori, ha siglato l’accordo, ma a denti stretti e con il sueo presidente, Giovanni Satragno, enologo e vitivinicoltore a Loazzolo, nell’Astigiano, che si è rifiutato di apporre la sua firma sotto il contratto 2010. «Ho detto ai miei di firmare per non perdere l’accordo e quello che ne deriva anche a noi come associazione (la quota Assomoscato dal fondo di sostegno all’intesa è di 500 mila euro ndr). Ma io non me la sono sentita di piegarmi al dikat delle aziende». Satragno lamenta un’imposizione a muso duro dei voleri aziendali senza possibilità di discussione. E teme che il Moscato d’Asti, «trattato dalle aziende come l’Asti spumante, faccia la sua stessa fine: sputtanato su tutti i mercati con bottiglie vendute a prezzi irrisori e con un’immagine deleteria».

Speranze da una parte e paure dall’altra che troveranno risposte nei mesi a venire. Intanto i trattori possono entrare nei filari e i vendemmiatori raccogliere grappoli dorati che come ogni anno, e indipendentemente dalle trattative, diventeranno Asti e Moscato d’Asti docg da vendere, speriamo nel migliore dei modi, in Italia e in tutto il mondo.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

13 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. strumenti musicali chitarra 22 Settembre 2010 at 17:18 -

    purtroppo noi contadini abbiamo bisogno di agevolazioni

  2. val 10 Settembre 2010 at 07:31 -

    pensate un po’ a quei ‘seri’ agricoltori situati in zone di produzione che non dovrebbero esistere per la scarsa qualità e maturazione di qualsiasi uva vogliano coltivare che si sono fatti ricchi producendo un moscato squallido senza grado nè profumi con rese di almeno 150 quintali per ettaro che adesso hanno anche il coraggio di pretendere di più.

    E poi pensate a chi coltiva Barbera ( vitigno che richiede quasi il doppio di lavoro in vigna rispetto al Moscato ) e produce circa 90 quintali per ettaro di uve che potranno dare vini di grande pregio, ottenendo forse ( se fortunato ) 30 centisimi al Kg che non nastano nemmeno a pagare le spese.

    pensate…………………..

  3. felice 8 Settembre 2010 at 18:56 -

    Sulla qualità.
    Vista dalla parte dei produttori conferitori di uve atte a produrre Asti ad una grande multinazionale.

    Sulla qualità/prezzo si fecero timidi tentativi di dare dei prezzi differenziati (pochi centesimi) sulle qualità organolettiche, ma di fatto poi si concluse con un nulla di fatto, salvo il fatto che il livello delle uve sta migliorando più per ambizione del vignaiolo che per una questione di prezzo : quando rovesciano il camion nella pigiatrice, se sei invaso da moscerini e viene giù della bagna marrone, non piace all’enologo della multinazionale ma anche produttore che è lì dalla balconata che guarda….. ed ormai lì ci sta attento. Purtroppo l’industriale può e sa comunque fare media: salvo per annate difficili, sa che dal fondo valle arriva un prodotto che da’ poco grado, ma con utile acidità, dai sorì gradazione e colore; il tutto lavorato bene e saggiamente miscelato dà un buon prodotto industriale, proprio come penso che faccia Ferrero con le nocciole piemonte accompagnate dalle turche quà e là…
    Quindi secondo noi l’industriale ha visto in questi anni aumentare (per nen) la qualità del prodotto e difficilmente vorrà mettere oltre mano al portafoglio, cercando adesso di limare sempre più sul prezzo , lavorando sull’espansione dei mercati, sicuro della qualità del prodotto di base(ricordiamo che il mercato russo è crollato quando certa gente, ancora al lavoro, mandò giù -periodo alluvione ’94 – acqua e zucchero..).
    Al vignaiolo serio rimangono invece ora buona parte dei problemi:
    l’aumento dei costi ordinari di conduzione, della polizza grandine, del costo per assunzioni vendemmiali necessarie per stare nelle scadenze imposte (carichi),
    miss Valoritalia che, gabellando, viene in vigna e Ti impone di diradare, ben sapendo che per il moscato la diradazione la fai già scegliendo le uve migliori, perchè il moscato è così, non lo dico solo io… l’unico nemico è la marcescenza, quella che incombe in queste giornate di pioggia battente, a tanta distanza dall’ultimo trattamento di antimuffa; non c’è bisogno di fare la gradazione della barbera…. ..anzi !è finito il moscato del “vino cotto” raccolto ad ottobre e filtrato nei sacchi…!
    E la mano d’opera spesso non è qualificata per i diradamenti, ne’ tantomeno per la scelta, quindi biosgna arrangiarsi in proprio su questo aspetto: qui c’è da lavorare sull’ampliamento della applicazione dei buoni vendemmiali a categorie non ricomprese, ampliando l’offerta di mano d’opera!
    Per carità, non siamo messi come per la barbera, quella ormai ce la vinifichiamo e la vendiamo sfusa quà e là per il Piemonte, a prezzi bloccati ormai da una vita, chi vendeva le uva, le espianta ormai, quindi , come dice Sacchetto, vediamo anche il mezzo bicchiere pieno , ma..
    Sulla qualità gli industriali, se interessati, individuino quindi i produttori con uve migliori (ne avrebbero avuto la possibilità, dopo decenni di conferimento) e propongano loro conferimenti speciali con premi significativi.
    Ciò però vorrebbe dire rivedere le modalità di ricezione delle uve, con investimenti per loro immotivati, perchè per il moscato non è solo una questione di grado, essendoci altre caratteristiche organolettiche importantissime ma non di semplice valutazione.
    Aiutiamo almeno il reddito aziendale lavorando sulla riduzione dei costi superflui aziendali e sui tempi burocratici, che stanno uccidendo i piccoli, sottoposti alle stesse torture di chi ha 100 volte la produzione, ma lì è un altra storia…
    Buona vendemmia!

  4. giovanni bosco ctm 8 Settembre 2010 at 10:00 -

    Capisco e condivido il commento di Francesco, purtroppo e soprattutto per l’Asti Spumante, l’uva moscato è solamente uno dei tanti componenti la bottiglia. La parte del leone la fà il “bollino”. Acquistare un vigneto senza la docg costa tanto come acquistare i diritti della docg… e i bollini non marciscono.La qualità paga solamente per il Moscato d’Asti, ma sino a quando?Se si inizia a vendere bottiglie di Moscato d’Asti sotto i 2 euro, che fine faranno i nostri sorì? Quei sorì che sono stati la fortuna di queste zone? questi sono gli interrogativi che la parte industriale, la parte agricola, e i sindaci rappresentanti del territorio dovranno discutere nei prossimi anni.Cultura, cultura, cultura questa è la sfida che ci attende. Trent’anni di accordi hanno portato benessere nelle nostre zone, l’altra faccia della medaglia è stata quella di dimenticarci delle nostre tradizioni, delle nostre lotte: Trent’anni di accordo hanno fatto sì che la nostra gente non si ponga più interrogativi. Siamo diventati tutti come quei fagiani di allevamento che appena lasciati liberi vanno subito a cena con…la volpe(la consolazione è una sola, che non pagano il conto!!!)

  5. filippo 8 Settembre 2010 at 08:05 -

    Riporto il commento di Francesco che l’ha mandato alla mia mail personale e mi ha autorizzato a riportarlo sul forum commenti di Sdp. Credo che sia un originale punto di vista di un “non addetto” fortemente coinvolto nel settore, specialmente in coincidenza di questi giorni di pioggia – martedì 7 e ,ercoledì 8 settembre, che stanno rallentando le operazioni vendemmiali. Ecco il commento.

    «Riguardo alle difficoltà di trovare un accordo tra industria e rappresentanti
    degli agricoltori in merito al prezzo dell’uva moscato vorrei fare alcune
    considerazioni. Pur non essendo coltivatore diretto, ma vivendo a stretto contatto con
    questa realtà, mi sembra veramente assurdo e ridicolo trascinara una trattativa per
    15 centesimi di Euro al miriagrammo, mentre ritengo che bisognerebbe discutere
    maggiormente sulla differenza di maturazione dell’uva nelle varie zone viticole.
    Ci sono zone in cui le uve hanno raggiunto la gradazione e l’acidità ottimali
    per essere vinificate, ma si temporeggia aspettando la maturazione in zone
    decisamente in ritardo. Risultato: nelle prime zone l’uva si sta deteriorando, nelle altre rimane
    comunque in ritardo. Mi sembra che debbano trascorrere dalla fioritura dell’uva alla vendemmia
    circa 90 giorni, in certe zone ne passano più di 100 in altre meno di 80».

    Cordiali saluti
    Francesco (frazizzi@libero.it)

  6. filippo 8 Settembre 2010 at 07:58 -

    Io che sono ottimista per natura mi associo alle tue eno-speranze, caro Sergio. Però capisco anche i timori di Giovanni Bosco e di altri viticoltori. Le industrie non sempre hanno rispettato gli impegni presi. I motivi? Il mercato che non tira, la crisi delle vendite, ecc. Ma questo, va detto, è stato favorito dal fatto che ad oggi non mi sembra ci siano paletti giuridici tanto severi da impedire che l’accordo interprofessionale sia disatteso. Un contratto è un contratto e va rispettato, da una e dall’altra parte. Altrimenti si pagano penali. D’altra parte è vero che, come da tempo scrive un collega, è finito il tempo dell’uva vendemmiata e salutata da parte dei viticoltori che, aggiungo io, oltre alla consapevolezza dei propri interessi, dovrebbero rendersi conto anche del fatto che il moscato non è tutto uguale. Ci sono vigne dove viene meglio e altre dove matura, diciamo così, meno bene. Ci sono viticoltori che operano bene e altri meno bene. In questo senso l’auspicio, che fino a prova contrario io credo genuino, di Lorenzo Barbero della Campari per diversificare i prezzi delle uve a seconda della qualità, va salutato come un buon segnale, senza diffidenze preconcette ma, certo, con la giusta ponderatezza. Se non ci sono queste basi resto dell’idea che il mondo del moscato non arriverà mai a quella maturità che potrebbe farlo diventare un modello eno-economico virtuoso, addirittura migliore di quello dello Champagne. Forse mi sono lasciato un po’ prendere la mano?

  7. sergio 7 Settembre 2010 at 21:47 -

    Proprio così! Mi auguro che sappiano compiere questo “miracolo” di vendere di più per non aumentare le scorte. Sarà un bene per tutti e mi saranno pure più simpatici. La qualità poi va premiata e incentivata. Basta versare l’uva nella massa e fare media, è umiliante e ingiusto!

  8. giovanni bosco ctm 7 Settembre 2010 at 14:19 -

    Ed ora vedremo se i funzionari delle grandi multinazionali non hanno solo parole per tenersi il posto(facendo cartelli e rischiando sanzioni dell’antitrust) ma hanno anche la capacità di vendere il prodotto.Per mantenere le giacenze sotto la soglia stabilita bisogna vendere dai 10 ai 15 milioni di bottiglie di Asti e/o Moscato d’Asti in più del 2009.Questa è la grande sfida! Ora vedremo se qualcuno voleva riempirsi solamente le cantine o veramente le vendite tirano. Tutto il resto è teatrino e chi è del mestiere lo conosce da oltre trent’anni.

  9. luca vola 7 Settembre 2010 at 11:18 -

    sul fatto che non tutto ciò che viene dalle industrie sia negativo lo penso anch’io, lo stesso bosco sostiene che una delle nostre4ruote è l’industria. mi riferivo specialmente alle due grosse industrie che hanno fatto il bello e cattivo tempo in queste ultime paritetiche. tengo a precisare che ieri le ho sentite personalmente le parole di barbero sul mercato a 2euro perchè ero presente, non ha detto che le difende ma che bisogna comunque anche arrivare a coprire quel mercato ( quest’inverno o questa primavera la stessa Campari aveva (s)venduto a 2euro e se non ricordo male l’avevo letto sul tuo blog), e sul fatto che quest’accordo sia una sconfitta enorme per il mondo dei moscatisti, poichè non è stata accettata la resa differenziata, non è solo una mia idea, non a caso Moscatellum non ha firmato l’accordo…

  10. filippo 7 Settembre 2010 at 10:58 -

    Lorenzo Barbero non ha bisogno di avvocati difensori, tuttavia, come moderatore di questo forum, devo precisare, caro Luca, che il manager Campari non ha mai detto di difendere le bottiglie a due euro che, a quanto mi dicono, sembra non siano un’esclusiva dell’industria. E a proposito di industria attenti a far passare il messaggio che tutto quello che arriva dall’industria è cattivo, tutto quello che arriva dalle cascine è buono. Sappiamo tutti che non è così. L’Asti spumante a fermentazione in bottiglia, per esempio, è stato fatto conoscere al grande pubblico da una Casa spumantiera, la Contratto di Canelli. La Gancia ha rilanciato con il Modonovo, uno spumante che, nonostante gli sforzi dell’azienda che ha inventato lo spumante italiano, non è stato capito e, anzi, è stato snobbato da enoignoranti con la puzza sotto il naso (e molti erano proprio contadini che forniscono le uve alle industrie). A Canelli ci sono quattro maison che hanno investito, e lo stanno facendo ancora, risorse e uomini sul progetto cattedrali Sotterranee molto collegato con il territorio. Pertanto dire, come fai tu Luca, che le aziende, senza fare distinzioni, preferiscono “… fare quantità e non qualità, fregandosene altamente del territorio di cui tanto parlano…” non solo è ingeneroso e un po’ troppo populista, è anche sbagliato. Me lo dici che fine avrebbe fatto la Nutella se fosse rimasta nel laboratorio di monsù Ferrero, distribuita a qualche migliaia di fortunati clienti? E, a quanto mi dicono blasonati colleghi giornalisti, oggi i sistemi di tostatura e produzione della Ferrero di Alba garantiscono standard di qualità – con che non sono inficiati in alcun modo dalla quantità della produzione.

  11. luca vola 7 Settembre 2010 at 10:28 -

    barbero parla di qualità, salvo affermare pochi istanti prima che non bisogna perdere alcun mercato, anche quello della bottiglia a 2 euro..lo sa chiunque che la qualità ha costi più elevati..e quindi se le parole hanno ancora un senso…si è decisamente contraddetto..e la volontà delle industrie dei 105 quintali ad ettaro con un prodotto che tutti dicono non eccellente..dimostra da sè quale sia la qualità che le industrie cercano, quella di fare quantità e non qualità, fregandosene altamente del territorio di cui tanto parlano.

  12. maurizio 7 Settembre 2010 at 09:03 -

    «Vorremmo pagare di più le migliori partite e non pagare tutta la produzione allo stesso modo» afferma Barbero.
    Questa mi pare una novità rilevante, a meno che non sia la solita chiacchiera al vento. Ma Barbero è sicuro di rappresentare la voce dell’industria nel suo complesso? tra l’altro il modo in cui giudicare le “partite miglior” è tutto da discutere, non si può certo far riferimento al solo grado zuccherino per un uva come il Moscato dove il parametro qualitativo più importante è quello aromatico (sebbene in qualche modo legato anche al grado zuccherino, alla sanità e ad altri aspetti). Campari è attrezzata per valutazioni più avanzate, ma gli altri? C’è una diffusa carenza di conoscenze tecniche e di ricerca su tutta una serie di aspetti, soprattutto viticoli, che fa paura se pensiamo all’importanza economica del prodotto. Chissà se questa congiuntura tutto sommato favorevole smuoverà qualcosa, chissà se qualche risorsa economica andrà in ricerca e sviluppo, al fine di riaffermare anche in futuro un primato qualitativo verso prodotti concorrenti, cosa che non è scontata, come credono in troppi.

  13. giovanni bosco ctm 7 Settembre 2010 at 07:45 -

    La domanda che mi sono posto alla firma dell’accordo del moscato vendemmia 2010 è stata questa “di Asti e di Moscato d’Asti ci si può ubriacare?” la risposat è stata “sì, di Asti e di Moscato d’Asti ci si può ubriacare” E’ successo nel 1982- prezzo dell’uva a 16.000 lire al mg. (con il valore in denaro di 100 quintali di uva si comperava un motocoltivatore), l’anno dopo il prezzo è crollato a 6.000 lire al mg. a seguire stoccaggio e poi distillazione. Quattordici anni dopo -1996 le rese furono portate a 110 q.li per ettaro a seguire stoccaggio e poi distillazione. 2010, sono passati esattamente quattordici anni, non c’è il due senza il tre? Chissà? Una cosa è certa alla smorfia napoletana il quattordici vuol dire l’ubriaco. Complimenti a Giovanni Satragno e a Paolo Saracco sono stati coerenti fino in fondo. Buona vendemmia e buon Moscato d’Asti.

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