La prima a “battere” la notizia è stata l’agenzia Ansa, che sottotitola “si chiude la guerra dell’Asti”. Ecco il lancio Ansa: «No all’estensione territoriale della docg Moscato d’Asti in alcune aree del comune di Asti. La sentenza della Corte di Cassazione ha confermato il pronunciamento di Tar e Consiglio di Stato, dichiarando illegittimo il decreto ministeriale del maggio 2012 relativo all’ampliamento. Lo rende noto il presidente dell’associazione Produttori Moscato d’Asti, Giovanni Satragno. “La sentenza della Suprema Corte – dice Satragno – chiude definitivamente la ‘guerra dell’Asti’, un contenzioso durato quattro anni, e dà ragione alla nostra associazione, alla Coldiretti, alle associazioni dei Comuni del Moscato e a Moscatellum. L’intera vicenda giudiziaria ha confermato – aggiunge Satragno – che l’estensione di una docg deve avvenire nel rispetto della normativa vigente, che garantisce la qualità del prodotto e che va rispettata nell’interesse dei consumatori e degli stessi produttori, di oggi e delle future generazioni”.
Toni bellici per una querelle che ha contrapposto per anni due parti: chi sosteneva la necessità di inserire Asti città nella zona di produzione dei grappoli di moscato atti a fare Asti docg oggi limitata a 52 Comuni tra Astigiano, Alessandrino e Cuneese, paventando problemi relativi la legislazione europea; e chi, invece, difendeva la chiusura della zona in nome dell’origine, della tutela e dell’immagine del prodotto.
Dunque il caso sembra chiuso, almeno per quanto riguarda la giustizia italiana. Essì perché più di una volta, Gianni Zonin, imprenditore vinicolo veneto che in quel di Portacomaro, frazione alle porte di Asti, ha una ventina di ettari di moscato ed è da sempre interessato all’ingresso della città di Alfieri nella zona di produzione dell’uva moscato docg, ha tuonato più volte contro la decisione presa oggi dalla Cassazione, dichiarandosi pronto a ricorrere alla Corte europea.
Solo una minaccia o reale intenzione? Si vedrà. Certo è che oggi Zonin è al centro di una bufera giudiziaria che lo ha coinvolto in quanto presidente della Banca Popolare di Vicenza. «Le sue priorità porrebbero essere cambiate» osservano alcuni. «Ma la sua famiglia ha ancora grandi interessi in campo vinicolo» annotano altri. Inoltre l’industriale veneto non fu il solo a caldeggiare l’ingresso di Asti nella zona del moscato. Anche politici locali, come Giovanni Pensabene, uomo di Sinistra, ex assessore provinciale e agronomo tecnico della Regione Piemonte, e rappresentanti delle associazioni di categoria, hanno espresso il loro appoggio alla causa dell’Asti docg fatto ad Asti.
Dunque, fatta salva la sentenza della Corte di Cassazione che per alcuni è pietra tombale sulla vicenda cominciata anni fa quando l’allora ministro Paolo De Castro attuale europarlamentare diede il via libera all’allargamento della zona decisione poi impugnata e oggetto di un contenzioso legale cominciata nel 2012, ci potrebbero essere ancora incognite da risolvere. È quindi lecito chiedersi se davvero sia finita la “guerra del moscato”.
Di sicuro c’è il fatto che, come in tutti i conflitti, ci sono stati “danni collaterali”. L’Asti docg sta vivendo una crisi feroce con la produzione che sembra andare sotto i 60 milioni di bottiglie, mentre il Moscato d’Asti docg veleggia attorno ai 30 milioni. Dal Consorzio dicono che lo stallo dell’Asti è colpa della crisi economica e delle guerre. La Regione Piemonte, attraverso l’assessore Giorgio Ferrero, ha interrogato direttamente le grandi industrie chiedendo cosa intendano fare dell’Asti docg. Le liti di questi anni non hanno fatto bene all’immagine dell’Asti spumante. Noi al 50° Vinitaly abbiamo raccolto le preoccupazioni sussurrate dei produttori che parlano di “crisi strutturale” dell’Asti docg, di grandi gruppi che non lo promuovono più, di un Consorzio troppo immobile nonostante i progetti buttati sul tavolo. Come non bastasse ecco qualche settimana fa le dichiarazioni dell’Antitrust che, prendendo ad esempio il Gavi, si è detta contraria a qualsiasi accordo pre-vendemmia su rese e prezzi delle uve. Uno strumento, quello degli accordi interprofessionali, che da anni viene utilizzato nel mondo del moscato.
D’altra parte sui mercati di tutto il mondo gli spumanti vendono tutti. Tutti tranne l’Asti docg. Il motivo ad oggi è ignoto ai più. Urge farsi delle domande e soprattutto darsi delle risposte. Magari fuori dalle carte bollate e siglando una “Pax Moscati” tra parte agricola, vignaioli, case spumantiere, cooperative e vinificatori, che riporti in auge una filiera fin troppo litigiosa e frammentata. Insomma ammesso che il “combattimento” sia terminato, come in tutti i “dopoguerra” che si rispettino sarebbe il caso di riappacificare gli animi in nome di un progetto comune. Se c’è.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)
nelle guerre, la storia insegna, non sempre i vincitori escono senza farsi male pure loro. Se per disgrazia abolissero la paritetica voglio proprio vedere come andrà a finire per i viticoltori. Forse ora è tempo che si elargiscano meno soldi agli avvocati e si ricominci a spendere per una promozione seria e davvero efficace del prodotto Asti o Moscato d’Asti che sia…….Come dici giustamente si tratta di verificare se ci si può mettere d’accordo su un progetto comune davvero efficace….l’alternativa sarà un bel guaio economico ed un futuro incerto per chi coltiva uva moscato…..