Gli scenari evolutivi e le prospettive sui mercati mondiali per i vini rossi piemontesi con analisi prima e dopo la pandemia. Questo i tema del forum proposto nell’ambito di Monferrato Digital, la rassegna di incontri e degustazioni in corso in questi giorni e che ha come promotore il Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato guidato da Filippo Mobrici.
A organizzare il webinar è stato il Consorzio I Vini del Piemonte (presidente Nicola Argamante, direttore Daniele Manzone) che raggruppa circa 260 aziende e ha come missione quella di presentare il Piemonte del vino in giro per il mondo.
Punto focale del convengo il rapporto presentato da Denis Pantini (foto) direttore dell’area agricoltura e industria alimentare di Nomisma, noto e autorevole istituto di ricerca in vari campi dell’economia e del lavoro, e responsabile di Wine Monitor, settore di Nomisma che si occupa delle filiere vinicole. Una relazione dettagliatissima che ha fornito molte conferme e indicato alcune possibili direzioni per il futuro del vino rosso italiano e piemontese con riferimenti anche ad altre tipologie, come gli spumanti. L’analisi si è basata sul confronto tra gli anni 2019 e 2020 dimostrando come, nonostante la pandemia del Covid 19 con la drammatica scia di morti e ammalati, le chiusure di attività e la devastante conseguente crisi economica, il vino abbia in qualche modo limitato le perdite e, anzi, per alcune tipologie, fatto segnare performance significative.
Ma quale è stato il canale di vendita privilegiato nel corso del travagliassimo 2020? I dati raccolti da Wine Monitor hanno confermato quello che tutti avevano un po’ intuito: il vino è stato acquistato soprattutto nella GDO, la grande distribuzione organizzata, i supermercati insomma, con, tuttavia, aumenti di volumi anche nei canali on-line. Il problema è che a fronte di numeri aumentati c’è stata una perdita di valore, tradotto: la gente ha comprato di più, ma scegliendo prodotti con prezzi più accessibili. In questo senso va segnalato la vera “esplosione” dell’e-commerce con realtà che nel 2020 hanno fatto registrare aumenti anche di oltre il 140% rispetto al 2019.
Per quanto riguarda la produzione il Piemonte registra 2,7 milioni di litri divisi quasi perfettamente a metà tra vini rossi (48%) e bianchi (52%) per un totale di vini dop pari all’82%. Se si parla di export cominciano ad arrivare le prime sorprese. Considerato il fatto che tre regioni, Piemonte, Toscana e Veneto, pesano per i 2/3 della produzione totale nazionale, i piemontesi spuntano un secondo posto con un ottimo 17% alle spalle dei veneti che, però, fanno 36%, cioè più del doppio del Piemonte, e davanti ai toscani, 15%. Sempre in tema di export un’altra sorpresa: secondo la relazione di Nomisma, elaborata su dati doganali, il Piemonte del vino ha esportato in media di più nel 2020 rispetto al 2019 dove la media era 1,5%, in linea con gli anni passati, facendo registrare un 2,6%. In questo senso non è da escludere che la Brexit e il pericolo dei dazi Usa minacciati dall’ex Presidente Trump, abbiamo in qualche modo indotto molti importatori a fare “magazzino” in modo da mettersi al riparo da ripercussioni doganali. Il vino, comunuqe, è stato venduto.
Facendo focus sui vini rossi dop piemontesi si scopre che l’export è cresciuto in Europa con riferimento ai Paesi del Nord. In calo i mercati americano e giapponese. Nello specifico Norvegia e Danimarca stanno sul podio, sia in volumi sia in valore. Questa attenzione degli scandinavi nei confronti del vino piemontese, al di là dell’analisi di Wine Monitor, sembra confermata anche da altri fattori “sul campo” che si stanno delineando nelle aree vinicole dell’Astigiano e del Cuneese (nebbiolo, moscato e barbera) dove da qualche anno, dopo le epopee storiche di svizzeri e tedeschi, norvegesi, svedesi e danesi non solo ci passano le vacanze, ma acquistano aziende vitivinicole, avviano attività di accoglienza, di import-export di vino e prodotti tipici piemontesi o, semplicemente, acquistano case e tenute per la propria residenza stabile. Un segnale da tenere presente. La ricerca di Nomisma indica anche i prezzi medi dei vini rossi per l’export con un raffronto interessante tra Francia e Italia per gli anni 2015, 2019 e 2020. Secondo l’analisi di Wine Monitor a soffrire di più nelle tre annate, con un calo sensibile dei prezzi export, sono stati i rossi di Borgogna passati dai 28 euro al litro del 2019 ai 22, 23 del 2020. Oltre alla pandemia devono aver influito anche i dazi trumpiani che alla fine sono stati applicati ai vini francesi e non a quelli italiani. I Bordeaux hanno tenuto attorno ai 12,13 euro/litro come i rossi piemontesi con, però, prezzi tra gli 8 e i 9 euro/litro. Per quanto riguarda le giacenze dei rossi piemontesi sono più basse della media nazionale, tuttavia sono emerse giacenze significative per le tipologie più prestigiose. Un dato, questo, che potrebbe essere fisiologico dato la minore propensione in pandemia ad investire da parte dei consumatori.
Wine Monitor, inoltre, ha chiesto ai consumatori di un gruppo campione quali regioni italiane reputassero migliori nella produzione delle varie tipologie di vino: rosso, bianco, rosato e spumante. Ebbene il Piemonte, a parte i bianchi (e qui ci sarebbe molto da dire e da lavorare) è sempre nelle prime tre posizioni. E se per i rosso c’è un secondo posto prevedibile dopo la Toscana, sorprende il terzo posto per i rosé, dopo Veneto e Puglia, e il secondo posto a pari merito (!) con il Veneto per gli spumanti. Questa classifica merita qualche considerazione. Sui vini rossi il duello con i toscani è lusinghiero. Va coltivato. Sui bianchi abbiamo detto. Sui rosati vale quello detto per i bianchi e cioè che il Piemonte ha vini e spumanti rosati in grado di incontrare il gusto del pubblico molto di più di quello che fanno ora. Infine gli spumanti: Asti Spumante, Alta Langa e altri Metodo Martinotti (Charmat) possono davvero fare la differenza e giocarsela con altri player. Basta crederci.
Particolarmente interessante la parte della ricerca di Nomisma che guarda oltre il Covid con un sondaggio, svolto a ottobre 2020, tra 165 imprese vinicole italiane. Alle aziende è stato chiesto quale saranno i vini che creeranno nuovi trend di consumo da qui a tre anni in riferimento ai mercati. Quelli sostenibili e biologici sono ai primi due posti con, come riferimento, i mercati Usa e tedesco. Da considerare anche i prodotti premium che dovrebbe interessare il mercato cinese per oltre il 70% del campione interpellato, mentre gli spumanti italiani interesserebbero i russi per un 44% degli intervistati. Insomma i manager possono trarne qualche indicazione utile.
Per chiudere le riflessioni finali di Denis Pantini che dichiara: «Il Covid lascia in eredità un nuovo modo di approcciare i mercati. Da un lato una multicanalità necessaria per cogliere le diverse opportunità derivanti da un consumatore più infedele sia al punto vendita sia ai vini regionali (sul web non c’è regionalità ndr), dall’altra la necessità di diversificare i mercati di sbocco per ridurre i rischi in un momento in cui la pandemia influirà sulla capacità di spesa dei consumatori e sui consumi di vino». Secondo Pantini i vini piemontesi hanno dalla loro su un forte appeal derivante dal brand regionale e sulla percezione positiva anche grazie a dop famose. «Tuttavia – scrive il direttore dell’area agricoltura e industria alimentare di Nomisma e responsabile di Wine Monitor – la necessità di investimenti nelle diverse leve del marketing da parte dei produttori non è rinviabile, a prescindere dal ritorno a una “nuova normalità”».
Parole, queste ultime, molto condivisibili che devono fare i conti con un Piemonte del vino ancora molto frazionato dove le tentazioni di dividersi sono sempre dietro l’angolo. È su questo, oltre che su altri “dettagli” come la comunicazione attenta e veritiera, la valorizzazione continua e aggiornata, la promozione accurata e efficace, l’uso corretto dei media, social compresi, la costruzione di un unico brand Piemonte che non omologhi, ma anzi esalti le dop, che si deve lavorare. Se si vuole.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)