Niente accordo a meno di due settimane dalla vendemmia del Moscato. Le Case spumantiere e i rappresentanti dei viticoltori non hanno trovato l’intesa sul prezzo delle uve e tutto è slittato a martedì prossimo. C’è davvero poco da dire sulla seduta di oggi della commissione paritetica convocata a Torino dall’assessore regionale all’Agricoltura, Claudio Sacchetto.
Nonostante le 6 ore di discussione non si è trovato un punto di contatto. Lo scoglio sembra che sia il prezzo delle uve. Convergenze, invece si sarebbero trovate su rese/ettaro che per la vendemmia 2010 dovrebebro attestarsi attorno ai 100 quintali e il collegamento di queste ad una massima eccedenza limitata a 250 mila ettolitri a stagione.
Ma le posizioni appaiono ancora distanti.
Da una parte i viticoltori che chiedono un aumento del prezzo dei grappoli almeno pari all’indice Istat del costo della vita, quindi attorno al 3%; dall’altra le aziende vinicole, questa volta a Torino presenti dopo l’assenza polemica della scorsa riunione, che non vogliono un’uva più cara rispetto ai 9,65 euro al miriagrammo pagati la stagione passata.
Sullo sfondo il popolo del moscato, oltre 6 mila famiglie che conducono altrettante aziende viticole nel territorio compreso tra 52 Comuni a cavallo tra Astigiano, Cuneese e Alessandrino.
Ma anche un comparto che conta cantine sociali, vinificatori, case spumantiere che danno lavoro a 15 mila addetti con un giro d’affari annuale di 500 milioni di euro derivato dalla vendita, in Italia e nel Mondo, di 70 milioni di bottiglie di Asti spumante e 13 di Moscato d’Asti docg.
Ebbene nonostante questi numeri, strategici per l’economia piemontese e italiana, tutti gli anni va in scena la commedia delle parti tra contadini e industriali.
Mercoledì, a Santo Stefano Belbo, c’era stata una riunione indetta da Ctm (Coordinamento Terre del Moscato) il movimento nato una decina di anni fa dai Cobas del Moscato, e Assomoscato.
Oltre duecento i contadini che hanno affollato il magazzino spedizioni messo a disposizione dalla cantina sociale del paese.
Uno solo il messaggio uscito da quella assemblea: dire chiaro e tondo all’industria che i contadini vogliono non solo guadagnare di più ma anche contare di più.
Sul fronte industriale la parola d’ordine sembra essere quella marchioniana: i mercati vanno conquistati a qualsiasi costo, altrimenti altri competitor agguerriti ce li scippano e sarebbe un guaio per tutti. Facciamo un sacrificio.
Il problema è che i contadini sono convinti da anni di essere sempre i soli a sacrificarsi ed è proprio questa sensazione, reale o virtuale, che i mediatori, Regione e Consorzio di Tutela in testa, devono cercare di annullare o, quanto meno, sfumare.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)
Caro Luca, prima di tutto grazie per essere intervenuto sul nostro blog. Ora, però, un paio di precisazioni. Non si tratta di sentirsi vittime o no, il fatto incontestabile, e ribadito anche nella riunione di mercoledì a Santo Stefano Belbo, è che i viticoltori sono l’anello debole di una filiera che è da sempre abituata a litigare più che fare squadra. Sulla moralità e sul rispetto dei patti ai ragione al 100%. Ma bisognerebbe chiedersi come mai, per anni, vignaioli e sindacati, hanno siglato accordi con l’industria che non prevedevano paletti legali (che in Italia ci sono) in caso di mancato rispetto dell’intesa da una delle parti. E se questi paletti ci sono – cosa di cui dubito – come mai non sono mai stati valere? Forse qualcuno aveva interessi in questo senso? Mah, vallo a sapere. Quanto alle strette di mano, ormai valgono ben poco. Viviamo un periodo storico di incessante implosione di valori e sentimenti. Dobbiamo farcene una ragione e stare attenti a non cedere alla tentazione di non tendere la mano, di difendere i nostri diritti accettando anche quelli degli altri (ma senza fare i fessi!). Evitando gli estremismi e le radicalizzazione perchè sennò si finisce, per dirla ancora con Hobbes, al “Bellum omnium contra omnes”, cioè alla guerra di tutti contro tutti. E, come sai, alla fine non ci saranno né vinti né vincitori.
la contesa tra contadini e industrie non è una questione di vittimismo o di sentirsi i soli a sacrificarsi..è una questione di moralità e di rispetto degli accordi presi, la richiesta di alzare i prezzi è tutt’altro che una pretesa asssurda della parte agricola, se si gioca ad armi pari le regole si rispettano da entrambi i lati..e come i contadini rispettano gli accordi presi lo stesso deve avvenire dall altra parte..forse a qualcuno va di nuovo raccontata la storia dei nostri nonni, che stipulavano i contratti CON UNA STRETTA DI MANO, e di qualcuno che si toglieva il pane di bocca pur di non venire meno alla parola data, perchè certi valori sono alla base della più elementare vita sociale umana, altrimenti torniamo ad filosofo Hobbes che diceva homo homini lupus…….