Piemontese buon Cortese, un nuovo proverbio per rappresentare una tendenza enologica che sembra prendere piede. Quella cioè di vini a base di uva cortese. Perché è una novità? Ma perché per una volta non si parla di Gavi, enclave alessandrina che negli anni ha saputo conquistare addirittura una docg vinificando splendidi bianchi a base cortese.
Per una volta, e speriamo non sia l’ultima, parliamo di aziende lontano da Gavi e fuori dall’area della docg.
Sono la Toso di Cossano Belbo, nel Cuneese; e la cantina sociale di Vinchio e Vaglio, nell’Astigiano.
La prima, qualche mese fa, a ridosso del Vinitaly, ha lanciato Tumidì, un vino fresco e frizzante, ottenuto da uve cortese della zona classica dell’Alto Monferrato tra le province di Asti e Alessandria, raccolte dai vigneti con rese per ettaro limitate a 70-75 ettolitri a ettaro. Confezionato nella classica bottiglia dello spot per l’idrolitina, quella do vetro bianco, a pianta ottagonale, con il tappo corona, da pronta beva, e la “macchinetta” incorporata per ritappare la bottiglia. Un packaging vintage – cioè un design datato – che è stato un successo per un vino quotidiano con un adeguato rapporto qualità prezzo.
Toso dopo Vinitaly ne ha dichiarato una produzione di 80 mila pezzi. Non male per un vino che per anni è stato considerato, Gavi a parte, il parente povero (e italiano) di vitigni internazionali come Chardonnay e Pinot.
Ora è la volta dei vignaioli di Vinchio e Vaglio, cantina sociale che è diventata una griffe dell’enologia piemontese. Merito di una rigorosa selezione delle uve. Una cosa inconsueta per il cooperativismo vinicolo italiano, figuriamoci per quello piemontese.
Ebbene qualche giorno fa è stato presentato Cellino (il nome celebra uno dei presidenti passati dell’enopolio) un brut extra-dry da uve cortese, appunto.
La produzione, per ora, è di 11 mila bottiglie. Il vino, però, ha grandi potenzialità.
Intanto il prezzo, attorno ai 4 euro al consumatore finale, un miraggio in tempi magri come quelli che stiamo attraversando.
Poi c’è la qualità che non ha subito tagli di sorta. Lo spumante Cortese di Vinchio e Vaglio, con fermentazione in autoclave del mostro che dopo la spremitura dei grappoli è lasciato “sulle bucce” per prendere colore e corpo, proseccheggia un po’, come del resto gli stessi dirigenti della cantina hanno ammesso. E tuttavia ha una morbidezza e un equilibrio che non lo rendono stucchevole o aggressivo e ne favoriscono il consumo a tutto pasto.
Insomma noi di Sdp lo abbiamo assaggiato e ci è piaciuto. Vedremo come andrà nelle vendite anche se dire, come ha fatto qualcuno, che Cellino rappresenti un attacco al gigante prosecco (11 mila pezzi contro 40 milioni) non solo è azzardato ma anche un po’ stupido.
E qui scomodiamo il vecchio, ma sempre valido, detto piemontese: esageruma nen (non esageriamo).
Comunque è già bello che le cantine piemontesi, private o sociali, si lancino in sperimentazioni che poi sono la strada migliore per conquistare mercati, credibilità e soprattutto portare a casa risultati e reddito.
E a proposito di sperimentazioni rilanciamo il sogno nel cassetto dei vignerons della cantina di Vinchio e Vaglio che ha sede tra Nizza Monferrato e Asti, zona di grandi Barbere, di rossi corposi e robusti.
Ebbene quei “discoli” hanno un’idea che frulla per la testa, una eno-marachella: vinificare uno spumante brut da uve barbera. La rossa che si trasforma in bollicine bianche.
Ci riusciranno? Noi siamo qui, pronti a fare da testimoni e appoggiare un Piemonte del vino che non sta fermo, che non si accontenta di parlarsi addosso e cerca di trovare nuove strade, magari tornando alle origini e “facendo fuoco con la propria legna”.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)