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Mercati. Il nome “Canelli” usato per vini, liquori e vermouth stranieri. Consorzio dell’Asti: «Valutiamo azioni di tutela»

Canelli, nell’Astigiano, è una delle capitale mondiali del vino, ma anche uno dei nomi enologici più copiati al mondo. Non ci credete? Noi lo sospettavamo, avevamo raccolto alcuni indizi. Poi, qualche giorno fa, via mail, ci sono arrivate le foto che pubblichiamo.

E così, seguendo quella traccia abbiamo scoperto una lista infinita di prodotti, vini e liquori soprattutto, che mettendo in etichetta il nome della città astigiana dov’è nato il primo spumante d’Italia, sfruttano il “Canelli sound” per fare business.

È il caso, per esempio di un Vermouth bianco e rosso e di altri liquori aromatizzati che sono commercializzati soprattutto nei mercati dell’Est Europa: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania.

Su tutte le etichette il marchio di punta è proprio Canelli che, anzi, è indicato nel sito della società di riferimento (http://www.ambra.com.pl) come un brand, cioè come un nome commerciale.

C’è poi la pletora di “Muscat Canelli” (a questo link un piccolo assaggio delel cantine che lo vinificano: http://www.cawinemall.com/variety/muscatca.html), cioè di vini dolci o no, prodotti soprattutto in Usa da produttori in massima parte della west coast.

Anche in questo caso il nome del vitigno, Muscat Canelli, viene messo spesso in bella evidenza sull’etichetta, sfruttando l’Italian Sound.

È tutto regolare? Queste aziende possono usare impunemente il nome Canelli? Beh, almeno per quanto riguarda liquori e vini non è escluso che la cosa possa avere strascichi giudiziari.

Interpellato da Sdp, infatti, il presidente del Consorzio di tutela dell’Asti e del Moscato, Paolo Ricagno, ha dichiarato: «Canelli è un nome che fa riferimento ad una sottozona del Moscato. Per questo rientra nelle denominazioni da tutelare. Vaglieremo modi e tempi per garantirci da usi non autorizzati del nome». Parole che sembrano anticipare prese di posizioni forti in un momento in cui i produrre italiano fa la differenze sul mercato.

Potrebbe essere, insomma, un primo passo per tutelare le denominazioni enologiche piemontesi. Del resto tutti ricordano ancora il braccio di ferro che costrinse i produttori friulani a togliere la dicitura Tocai dalle etichette in favore dei vignaioli ungheresi che vantavano l’origine del famoso vitigno e che vinsero nonostante la centenaria presenza dello stesso vino anche in territorio italiano.

Oggi, però, sarebbe proprio il caso di difendere da copiature e usi impropri le denominazioni italiani e piemontesi che non identificano solo prodotti, ma anche un territorio, tra l’altro candidato a diventare Patrimonio dell’Umanità.

Filippo Larganà (Filippo.largana@libero.it)

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