Mentre uno si sta preparando alla Santa Pasqua riceve, su un social, un messaggio privato di questo tenore:
“… le capita di avere acidità di stomaco o pesantezza alla testa ogni volta che beve del prosecco? Il nostro (…) è un prosecco doc (…) di alta qualità, fatto al 100% da uva glera certificata SQNPI e coltivata senza diserbanti chimici, a basso contenuto di solfiti e senza anidride carbonica aggiunta. E costa meno di quanto lei possa pensare! Spesso si fa attenzione a ciò che si mangia ma non si è altrettanto attenti a ciò che si beve. Un prosecco salubre (oltre che buono) vale la spesa di qualche euro in più? Secondo noi sì! E secondo lei? Per maggiori informazioni risponda a questo messaggio, siamo a sua disposizione. Un brindisi alla sua salute!”
Ora, a parte i riferimenti a bruciori e teste pesanti è giusto, ci chiediamo, impostare il proprio marketing in questo modo? È corretto? È etico?
Non sono domande retoriche. Davvero non sappiamo se questo sia il modo più giusto per promuovere un vino che, comunque la pensiate, è un must del made in Italy nel mondo, quasi alla stregua di pizza e spaghetti.
E non si pensi che questi interrogativi siano d’interesse solo per la parte veneto-friulana della filiera prosecchista, perché i piemontesi, con Cantine blasonatissime e solidissime, sono protagonisti eccome nel mondo del Prosecco.
Dunque forse è meglio farsi delle domande e, possibilmente, darsi delle risposte perché andando dietro alle parole del nostro interpellante uno potrebbe chiedersi: A) che cosa significa “Prosecco buono e salubre” e che cosa è il contrario B) il certificato Sqnpi (sistema qualità nazionale di produzione integrata) che cosa comporta? C) l’anidride carbonica aggiunta che significa? D) acidità di stomaco e pesantezza alla testa da che cosa sono portate?
Insomma un fatto è certo: nel mondo del vino giocare a “chi ce l’ha più salubre” suscita più di una domanda.
SdP