«Sono stata fortunata. Ho potuto scegliere di fare un lavoro che mi appassiona, di vivere nel posto che amo, di frequentare gente unica che ha arricchito e arricchisce la mia vita, privata e professionale. Ho potuto decidere di fare qualcosa per proteggere il paesaggio e l’ambiente. Sì, sono una donna molta fortunata». Sono parole che Mariuccia Borio, titolare di Cascina Castlet, Casa vitivinicola con 30 ettari di vigneti per la maggior parte barbera in quel di Costigliole d’Asti nell’Astigiano, avrebbe voluto inserire nell’intervista che ha concesso a SdP e che, come spesso accade, sono rimaste fuori perché dette a microfono spento, perché la mente, i ricordi, hanno un flusso diverso da quello digitale, lontano da schemi e scalette e che solo la parola scritta riesce a cogliere e rilanciare.
Cominciamo così il racconto dell’intervista per Le Vite del Vino a Mariuccia Borio, donna che conferma la normalità eccezionale e straordinaria dello spirito femminile, in grado di profonda dolcezza, ma anche di rigorose severità, di cogliere gli aspetti solo apparentemente invisibili delle cose e delle persone e, nello stesso tempo, capace di una concretezza ferrea abbinata ad una determinazione dura come i diamante.
È proprio da questo universo femminile che parte la forza di Mariuccia Borio, donna del vino fino dall’infanzia, nata e cresciuta tra le vigne di barbera e altri vitigni salvati dall’oblio, sulla collina di Castlet, di Castelletto, la stessa, assicurano gli storici, scelta dal Marchese Filippo Asinari, figura di diplomatico viticoltore vissuto tra Settecento e Ottocento, per sperimentare con successo, primo in Italia, la coltivazione del vitigno Chardonnay.
Del resto innovare, esplorare nuove strade, elaborare e realizzare progetti sempre nuovi sono alla base della filosofia di Cascina Castlet e di Mariuccia Borio che, però, ammette: «Io qui mica ci lavoro solo. Io qui mi diverto» e per un attimo, dietro alla donna del vino, all’imprenditrice, alla vignaiola, vedi la bambina che usciva sulla neve con le pietre calde in tasca e staccava gli ultimi acini di Uvalino, l’uva medicamentosa i cui grappoli restano buoni in vigna anche fino a dicembre e macchia le labbra di rosso, come il sole quando tramonta d’inverno dietro al collina di Castlet.