La Robiola di Roccaverano dop (fatta da due svizzeri) finisce sul tavolo del G8. I sapori veri del Piemonte fanno scuola (e tendenza) anche davanti ai Grandi che discutono i destini del mondo

inserito il 11 Aprile 2009

 

Simona Stuts alza al cielo il premio di "Miglior formaggio d'Italia" conquistato dalla sua Robiola dop di Roccaverano

La Robiola di Roccaverano dop, cacio che più langarolo non si può prodotto dal caseificio di Mombaldone condotto dai coniugi elvetici Simona Stuts e Andrea Pfister, sarà servita al tavolo di uno dei summit G8 in programma in Italia.

Nel mese di aprile 2009 in calendario ci sono due riunioni: una nel Trevigiano sull’Agricoltura e una a Siracusa sull’Ambiente. A luglio poi c’è il G8 sul Lavoro alla Maddalena, in Sardegna. Simona e Andrea confermano a Sdp la notizia; il loro formaggio caprino, che già a fine 2008 era stato premiato al concorso per formaggi d’autore Grolla d’Oro di Saint Vincent come migliore formaggio d’Italia, è in procinto di essere spedito al G8. «E c’è da sperare che questi summit contribuiscano a cambiare un po’ lo spirito e la vita del pianeta» commentano Simona e Andrea, 44 e 46 anni, che, per un attimo, sembrano dimenticare il “business” per ritrovare la voglia di libertà, di mondo a misura d’uomo, di sinergia con la natura che li ha spinti, 18 anni fa, a lasciare la “linda” Svizzera per stabilirsi tra le colline della Langa astigiana e cominciare la loro avventura di mastri casari. Raccontano: «Abbiamo scelto il Piemonte perché è la regione agricola più vicina alla Svizzera. Noi avevamo il sogno di coltivare la terra, ma con i nostri due figli piccoli non volevamo allontanarci troppo dal nostro Paese natale». Così Andrea e Simona capitano nella cascina Poggi, un vecchio complesso agricolo sulla strada panoramica che collega Mombaldone a Roccaverano. Il caseggiato è da rimettere a posto, ma circondato da quaranta ettari di terreno, con boschi, pascoli e un vigneto con viti di barbera e dolcetto. La famiglia Pfister-Stuts ne prende possesso. «Gli anziani vicini – ricorda Andrea – avevano capre e facevano la robiola. Ci è sembrato un buon suggerimento per guadagnare qualcosa. Così abbiamo acquistato tre capre e fatto le prime robiole». Sono stati anni difficili, Simona e Andrea hanno provato e riprovato a fare il formaggio, attrezzando un piccolo laboratorio e una cella per la stagionatura, costruendo una grande e moderna stalla per le capre. Oggi il loro caseificio (info: 0144 950730) conta su 130 capre di razza autoctona e scamosciata delle Alpi, alimentate con mangimi bio e no-ogm, e produce 35 mila forme di Robiola dop di Roccavevano, tutte in purezza, ossia ottenute solo da latte di capra nel più rigoroso rispetto della tradizione e dei disciplinari. Andrea e Simona producono anche alcune migliaia di un formaggio di latte di capra che viene ricoperto da cera d’api dove sono imprigionati anche fiori di campo. «Non è la Robiola dop – avvertono i due casari -. È una tecnica che abbiamo elaborato per “allungare”, anche di anni, la conservazione del formaggio caprino». Per Andrea e Simona, in questi 18 anni di attività, i successi sono stati tanti. La loro Robiola di Roccaverano, a novembre 2008 a Saint Vincent, è stata incoronata, da una giuria internazionale, “re dei formaggi italiani” conquistando il titolo del concorso “Grolla d’oro – Formaggio d’Autore – Miglior formaggio d’Italia”, ma anche la “Grolla d’oro” nella categoria ovicaprini. Il formaggio astigiano ha superato oltre 180 concorrenti provenienti da 16 regioni d’Italia. Nel 2005 il caseificio mombadonese aveva conquistato la medaglia d’oro a Verona alle Olimpiadi dei Formaggi, e, nel 2006, ancora la Grolla d’oro a livello di categoria di caprini. «Da un po’ – dice Andrea – il lavoro è diventato durissimo. Io e mia moglie, con un paio di operai, da febbraio a giugno lavoriamo 15/16 ore il giorno. Trovare un aiuto non è facile». I figli della coppia, poco più che ventenni, sono impegnati negli studi, a Londra e Torino. «Confidiamo che tornino qui a continuare il nostro lavoro, ma devono seguire le loro aspirazioni» dice Andrea che ammette senza superbia: «La nostra è una storia di quotidiani eroismi necessari per fare quello in cui crediamo: produrre un formaggio d’eccellenza». Che sappia parlare delle colline di Langa, dei loro boschi, dei pascoli e dei torrenti, diversi e così simili a quelli delle Alpi svizzere e delle altre parti del mondo dove l’uomo ritrova se stesso lontano da stress e brutture.

Filippo Larganà

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