Tanti lettori ci hanno segnalato lo spot del Tavernello che in queste settimane è in onda su molte emittenti tv. Anche operatori del settore vinicolo e della comunicazione (noi compresi) ne hanno apprezzato la freschezza e l’immediatezza del messaggio. “Genuino, buono, italiano…” in tre parole il claim dice tutto quello che c’è da sapere sul vino italiano. Le immagini sono un po’ patinate e falsate, è vero. I grappoli sembrano fatti di plastica. L’immagine della sagoma dell’Italia fatta con le foglie di vite può sembrare retorica e scontata. Ma il messaggio che ne viene fuori, in tempo di Expo, è penetrante: il vino si fa in Italia che ha una lunga tradizione enologica. Un “italians do it better” per una volta non ammiccante all’erotomania nazionale, ma intriso di orgoglio agro-imprenditoriale. Non è poco in un momento in cui l’identità dell’Italia e della stessa europa è messa a dura prova da campagne ben più serie e drammatiche di quelle pubblicitarie per vendere un prodotto commerciale di largo consumo.
Ecco qui lo spot del Tavernello:
Non è, tuttavia, la prima volta che gli italiani fanno pubblicità ai loro vini ricordando tradizioni e blasoni di famiglia. Negli Anni Settanta la Barbero di Canale aveva lanciato il fortunato (e dimenticato) slogan “Arrivano i piemontesi” con spirito più garibaldino e di eno-unità italiana che secessionista; i Ricasoli, tra un teleromanzo e una Canzonissima, mettevano in campo l’immagine del fondatore. Negli Anni Ottanta e Novanta Riccadonna invitava le famiglie italiche a brindare col President sdoganando gli spumanti anche per il pranzo della domenica, mentre Gancia ci metteva la faccia, anzi le facce dei titolari. Altri tempi. Oggi chi fa comunicazione nel vino la concentra tra Natale e Capodanno, puntando soprattutto sulle bollicine, secche o dolci. Punto. Il resto si fa a macchia di leopardo: qualche pagina di giornale, qualche sponsorizzazione, sparuti spot tv. Tranne poche eccezioni tutto tace. Della situazione, relativamente al Piemonte, abbiamo parlato qui e qui. E sembra che nulla sia cambiato. Per fortuna c’è il Tavernello.
SdP
Vero, la pubblicità costa, ma non ci stavamo riferendo ai vignaioli e alle piccole/medie case vinicole, ma ai grandi gruppi, che in Piemonte non mancano… se vai dalle parti di Pessione o di Novi Ligure ne trovi… e ai Consorzi che, incassando l’erga omnes, dovrebbero valorizzare il prodotto e il territorio, dove operano piccoli, medi e grandi… invece niente, nulla, zero… e, mi spiace dirlo, ma senza business la tutela e il mantenimento della biodiversità vanno a farsi benedire perché per stare sulle colline servono i soldi, non solo la poesia. Quanto alla réclame, ma hai visto chi fa pubblicità, oltre al Tavernello? C’è, per esempio un’azienda veneta, con vigne e interessi anche in Piemonte, che reclamizza, giustamente il suo Prosecco; poi c’è un’azienda piemontese che, giustamente, pubblicizza un suo spumante, anonimo, che col territorio non c’entra un fico (almeno nel nome); poi, per fortuna, ce n’è un’altra che punta sui vini piemontesi (tutti)… tutto qui. Chiaro che il fenomeno mediatico del Tavernello emerge. O no!?
Ma lo sapete quanto costa fare pubblicità? Solo grandi gruppi possono permetterselo. L’Italia del vino è fatta di piccoli produttori che non hanno i numeri di bottiglie sufficienti a pagare costi così alti, ma sanno accogliere in cantina e trasmettono passione parlando del mestiere che tramandano alle generazioni future e che non sempre è solo business, ma molto spesso è tutela del territorio e mantenimento della biodiversità.