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Intervista. L’enologo Giuliano Noè parla della Barbera, «Sia vino quotidiano», ma anche di Asti e Moscato e dice che…

La Barbera? Unico vino piemontese che può conquistare il mondo. L’Asti? Risorsa enologica ed economica da difendere. Il Moscato? Da solo non si basta. Il Barolo? Ostaggio del complesso di superiorità. È un fiume in piena l’enologo Giuliano Noè, wine maker di fama, consulente di varie cantine e maison e “grande vecchio” dell’enologia piemontese con la paternità di tanti vini pregiati di successo.

L'enologo Giuliano Noè

Stimolato da Sdp sui temi più delicati che travagliano il mondo vinicolo piemontese, Noè ha espresso giudizi e indicazioni che non mancheranno di suscitare riflessione tra chi segue questo blog e, ci auguriamo, anche al di fuori.

Si comincia con la Barbera. «È il nome Piemonte che deve essere difeso nel mondo – ha detto Noè -. Parlare solo Barbera non significa nulla. È una definizione generalizzata e che genera confuzione. Ci sono tante barbere, in Piemonte, in altre regioni italiane e non mondo. Ed è ora di finirla di pensare alla doc Piemonte come una denominazione cenerentola. Se si vuole risolvere la crisi di questo grande rosso piemontese, l’unico vitigno al mondo che consente di ottenere vini di pronta beva e da invecchiamento, è bene che si pensi ad una produzione di vini da bere facilmente. Ecco, questo potrebbe essere lo slogan giusto, la parola d’ordine. Niente più strutture, corposità, alcol. Nel mondo chiedono vini il cui approccio sia facilitato e gradevole. La doc Piemonte Barbera ha queste caratteristiche. Sfruttiamole e collocheremo i 50 milioni di bottiglie che rappresentano la potenzialità del vigneto barbera nella nostra regione».

Per Giuliano Noè il male oscuro dei vini piemontesi sta nella carta d’identità: «Barolo e Barbaresco viaggiano sul binario dei vini di denominazione locale, sull’esempio dei francesi. Non esiste il Nebbiolo di Barolo o il Nebbiolo di Barbaresco. Invece di Barbere  ce ne sono almeno 6 in Piemonte, senza considerare le barbere dell’Oltrepo Pavese o quelle della California in Usa. Ecco che la doc Piemonte Barbera potrebbe fare chiarezza sgombrando il campo da pericolose confusioni, valorizzando il nome Piemonte abbinato alla denominazione del vitigno»

Noè auspica non solo un cambio di passo in tema di denominazioni, ma anche un’evoluzione di mentalità dei produttori. «Oggi – sostiene – molti produttori, prima della vendemmia, rivendicano le denominaizoni che ritengono più prestigiose: d’Asti, d’Alba, Monferrato, ritenendo, a torto, che quella Piemonte una sorta di ruota di scorta, un refugium pecatorum da utilizzare se il mercato non assorbe la produzione, generando, però, vini omologati che senza cambiare caratteristiche hanno prezzi diversi a seconda dell’andamento delle vendite. A mio parere è un errore. L’ho detto e lo ripeto: la Barbera è un vino unico, in grado di adattarsi perfettamente alle esigenze del mercato moderno che richiede vini da bere facilmente. I produttori piemontesi della zona della Barbera devono imparare a considerare la denominazione Piemonte come la base solida su cui costruire le altre tipologie. Il Piemonte Barbera deve essere la pietra d’angolo, un vino buono, poco alcolico, con caratteristiche di facile approccio, il più possibile gradevole a tutti, diverso dalle altre tipologie più strutturate. Ho proposto questo progetto alla cantina sociale di Vinchio e Vaglio nell’Astigiano e quest’anno, a febbraio, uscirà questa “nuova” Piemonte Barbera ottenuta riservano oltre 10mila quintali di uve a questa produzione. È un segnale forte».

L’altro nervo scoperto dell’enologia piemontese è il rapporto tra l’Asti spumante docg e il suo territorio e anche con il vino “fratello” Moscato d’Asti. Un rapporto un po’ di odio amore, tra traversie, incomprensioni, ripicche  e persino litigi. Ha detto Noè: «L’Asti è la grande risorsa enologica e economica del Piemonte. Il vigneto moscato bianco nella nostra regione ha una potenzialità di oltre 100 milioni di bottiglie. E in quetso senso i numeri sono rigorosi: il “tappo raso” non può bastare a sé stesso. Se non ci fosse l’Asti che fine farebbero le vigne di moscato dei 52 Comuni piemontesi? Per questo l’Asti va tutelato, valorizzato, promosso, divulgato, facendo della terra in cui nasce una terra d’elezione che vive grazie proprio alle vendite di Asti in Italia e soprattutto nel mondo. Il Moscato d’Asti docg? Deve svilupparsi d’intesa con il suo “fratello maggiore”, senza competizioni e liti, facendo squadra».

Infine una parola sui grandi vini: il Barolo e il Barbaresco su tutti. Per Giuliano Noè i barolisti devono stare attenti alla sindrome da superiorità. «Oggi – ha dichiarato a Sdp -, è sotto gli occhi di tutti, è sempre più difficile vendere vini che richiedono grandi lavorazioni e immobilizzazioni di capitali. Servono idee per svecchiare e dare agilità. I mercati sono in evoluzione vertiginosa. Occorre creatività e innovazione».

Produttore avvisato…

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

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