È ormai questione di giorni (se non di ore) la costituzione di Assobrachetto, l’associazione che vuole raggruppare viticoltori e vinificatori del comparto legato alla trasformazione dell’uva rossa aromatica coltivata tra Sud Astigiano e Acquese.
Alla base dell’iniziativa c’è l’esigenza di un maggiore coinvolgimento nelle scelte future del settore. La spinta è la crisi che il Brachetto sta attraversando, acuita dalla recessione globale, certo, ma che sembra avere radici più profonde.
Pierluigi Botto, viticoltore e produttore di vino di Ricaldone, nell’Alessandrino, tra i primi promotori di Assobrachetto, racconta ad Sdp come sono si è giunti alla costituzione del nuovo sodalizio: «Le ultime dichiarazioni del presidente del Consorzio di Tutela, Paolo Ricagno, ci hanno molto preoccupati. Parlò di novemila ettolitri di eccedenze delle vendemmie dal 2005 al 2007 fermi in cantine sociali e vinificatori e da declassare, di altri settemila ettolitri invenduti dalla raccolta 2008, del contributo di 750 euro ad ettaro per due anni che tutti avremmo dovuto versare per declassare le eccedenze, di una campagna promozionale da pagare sempre con un contributo 750 euro ad ettaro. A quel punto, insieme ad altri colleghi, mi chiesi cosa potevamo fare noi, viticoltori e produttori di vino per il futuro del Brachetto. Decidemmo costituirci in associazione. Alla prima assemblea eravamo un centinaio, raccogliemmo 60 firme pro Assobrachetto. Alla seconda riunione eravamo quasi 200. Firmarono in più di 100 e molti erano soci di cantine sociali, segno che non si sentivano molto rappresentati da chi parlava a nome degli enopoli».
Da qui è partita la corsa alla costituzione dell’associazione che punta ad entrare nella commissione paritetica voluta dalla Regione e operativa da un anno. Come quella attiva da decenni per il Moscato d’Asti docg, discute e decide rese e prezzi per ettaro, ma anche delle azioni di valorizzazione. Oggi di quel tavolo fanno parte Industrie vinicole e Consorzio di tutela. La prossima riunione sarebbe prevista per l’8 aprile, tra i punti all’ordine del giorno una campagna di spot tv da 1,8 milioni di euro che dovrebbe riqualificare il Brachetto docg e riavviare le vendite. Le perplessità da parte di viticoltori e produttori, però, non sono poche. I viticoltori vorrebbero rese più alte rispetto agli attuali 47 quintali/ettaro per il Brachetto docg spumante e 50 per il “tappo raso”.
Giovanni Costa, amministratore della Marenco Vini di Strevi, una delle aziende storiche del Brachetto, punta l’indice sul nodo eccedenze, ricorda i tanti prodotti “simil-Brachetto” che hanno invaso il mercato e sottolinea la scarsa competitività all’estero del vino rosso aromatico. Dice: «Ad esempio è difficile spiegare agli importatori americani perchè il Moscato d’Asti docg costi meno del Brachetto. Le aziende – aggiunge – vogliono una strategia programmata nel tempo, più efficace di quella perseguita finora, e che prenda in considerazione tutti gli aspetti della filiera brachetto, dai vigneti alla commercializzazione». Per Aureliano Galeazzo, sindaco di Alice Belcolle, centro agricolo simbolo del Brachetto, sul confine tra Acquese e Astigiano, la parola d’ordine è partecipazione: «I malumori emersi in queste settimane – afferma – sono la spia di qualcosa che non funziona e noi, come amministratori locali che fanno parte dell’associazione dei sindaci del Brachetto, fare fina di nulla. Ci sono delle istanze che vengono dalla base, il Consorzio non le ignori. I sindaci non sono contro il Consorzio, rispettano il suo ruolo di tutela e controllo, ma davanti al disagio di coltivatori e case vinicole, è necessario si arrivi ad un rinnovamento e ad una partecipazione più allargata della gestione del comparto».
Insomma un mondo in fermento quello del Brachetto con situazioni in continua evoluzione.
Se ne parlerà il prossimo 8 aprile, a Vinitaly concluso e a pochi giorni dalla Pasqua, una delle scadenze commerciali più importanti per i produttori di vino.