Il mondo del Brachetto è in subbuglio. I “cobas” dei filari sul piede di guerra. Raccolte 200 firme per costituire un’associazione di produttori. Il Consorzio annuncia spot in tv e difende le proprie scelte. Ma contadini e sindaci vogliono più partecipazione

inserito il 19 Marzo 2009

brachetto

Il mondo del Brachetto d’Acqui è in fermento. Sdp ha raccolto i primi segnali di malesseri sempre meno sotterranei. Sono, infatti, centinaia i viticoltori, e con loro anche produttori vinicoli, esponenti di cantine sociali e amministratori locali, che in queste settimane hanno dato vita ad assemblee tra Acquese e Astigiano. Si è discusso della salute commerciale, non particolarmente buona, di uno dei vini simbolo dell’enologia piemontese, apprezzato dai buongustai ma che sta vivendo uan stagione difficile. I contadini hanno espresso profonda insoddisfazione per come stanno andando le cose. Per ora non ci sono dichiarazioni ufficiali, ma in molti, coltivatori di uve, produttori vinicoli, amministratori comunali, raccontano come alla base dei malumori del settore ci sia l’insoddisfazione nei confronti della politica commerciale, amministrativa e d’immagine portata avanti dal Consorzio di tutela presieduto da Paolo Ricagno, che è anche presidente della Cantina sociale Antica Alice-Sessame e vicepresidente del Consorzio dell’Asti. I viticoltori, inoltre, considerano troppo basse le rese – 47 quintali/ettaro per il Brachetto spumante, 50 per il “tappo raso” e 52 per il Piemonte –  e lamentano un sostanziale rallentamento delle vendite. Pur confermando l’importanza del ruolo del Consorzio di tutela, chiedono di partecipare di più alla gestione del comparto, anche al di là delle rappresentanze delle cantine sociali. Avanzano l’ipotesi della costituzione di un’associazione che riunisca i produttori di uva, sul modello di Assomoscato. Del resto quello che sta accadendo al Brachetto assomiglia in modo impressionante a quanto successe quindici anni al Moscato. Anche in quella occasione i contadini scesero in piazza e si raggrupparono per evidenziare una situazione di “sofferenza” con prezzi delle uve giudicati insufficienti, un mercato stagnante e l’immagine di Asti e Moscato docg ridotta ai minimi termini. Nacquero i “cobas del Moscato” che indicarono ai viticoltori un nuovo modo di rapportarsi con le ora sembra essere il turno del Brachetto che soffrirebbe degli stessi mali. Intanto paiono tramontate le velleità solo di alcuni anni fa quando il Consorzio del Brachetto d’Acqui docg annunciò lo sbarco in Cina con la promessa di vendite su un mercato che avrebbe fatto intravedere successi commerciali senza pari. Invece nulla. Nel Paese della Grande Muraglia il Brachetto, nonostante alcuni container inviati e un paio di “brachetterie” aperte, non ha avuto il successo che si attendeva. La colpa, come hanno dichiarato a Sdp alcuni operatori, è della crisi internazionale, ma anche delle difficoltà di un mercato lontanissimo dagli standard sociali ed enologici europei. Ora i nodi stanno venendo al pettine. La scorsa settimana, all’Ex Kaimano ad Acqui Terme, si sono riuniti circa 200 viticoltori, altre riunioni si sono avute in questi giorni. Tra i produttori di uva e i titolari di aziende vinicole c’erano anche sindaci della zona di produzione che hanno già dato vita ad un’associazione di primi cittadini sulla falsariga di quella già costituita per l’area del Moscato. Nelle assemblee oltre a parlare dei problemi del Brachetto si è deciso anche di raccogliere le firme – sarebbero già più di 200 – per la fondazione di Assobrachetto a cui potrebbero aderire viticoltori liberi o associati alle cooperative. Pochi giorni fa, per bocca del presidente Ricagno, anche il Consorzio ha detto la sua. In una conferenza stampa si sono ammessi i problemi, ricondotti, però, a dimensioni meno gravi. I vertici del Consorzio hanno sottolineato che coltivare brachetto rende più di settemila euro ad ettaro, cifre diverse da altri comparti vinicoli in crisi profonda, come Barbera e Chardonnay. Si è parlato anche di eccedenze: novemila ettolitri di vino avanzato delle vendemmie 2005, 2006 e 2007, ancora stoccate in cantine e centri di vinificazione, che potrebbero prendere la strada della distillazione o dell’acetificazione con una spesa stimata attorno a 1,8 milioni di euro. Ma Ricagno ha pure ricordato l’impegno decennale del Consorzio per la valorizzazione del Brachetto docg e annunciato l’intenzione di avviare una campagna promozionale sulle reti Mediaset per riposizionare l’immagine del rosso aromatico piemontese. Dichiarazioni in qualche modo rassicuranti, che, però, non sono bastate a placare gli animi. Vignaioli, produttori di vino e amministratori locali anche in queste ore hanno confermato perplessità e malumori. Sdp seguirà il tema dando conto, come sempre, delle diverse voci e posizioni.

Il territorio.

I 26 paesi della zona classica
di produzione
del brachetto d’acqui docg: in provincia di Alessandria, Acqui Terme – Terzo – Bistagno  Alice Bel Colle – Strevi  Ricaldone – Cassine – Visone. In provincia di Asti: Vesime – Cessole  Loazzolo – Bubbio – Monastero Bormida – Rocchetta Palafea Montabone – Fontanile – Mombaruzzo – Maranzana Quaranti – Castelboglione Castelrocchero – Sessame – Castelletto Molina – Calamandrana – Cassinasco – Nizza Monferrato (a destra del fiume Belbo).

Il Consorzio di Tutela

Il Consorzio Tutela Vini d’Acqui nasce ufficialmente nel 1992 ad Acqui Terme (AL) con lo scopo di controllare e regolamentare la crescita del Brachetto d’Acqui docg e del Dolcetto d’Acqui doc. Nel 1996 è stato riconosciuto al Brachetto d’Acqui la più alta denominazione: la denominazione d’origine controllata e garantita (docg). Il disciplinare restringe la zona di produzione a circa 1.300 ettari sulle colline dell’Alto Monferrato e che comprendono 26 comuni intorno ad Acqui Terme: 8 in provincia di Alessandria e 18 in provincia di Asti, tra Langa astigiana e valle del Belbo. Il Consorzio è impegnato a tutelare il territorio, programmando la produzione, incentivare la commercializzazione ed ha un forte impegno di promozione e valorizzazione sui mercati mondiali. Il Consorzio ha anche, il compito di seguire tutto il procedimento per la certificazione finale del prodotto delle aziende consorziate sino alla consegna dei contrassegni di Stato. Ad oggi aderiscono al Consorzio di Tutela 60 Aziende.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it) info@saporidelpiemonte.it

 

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