I “big” dell’Asti spumante si prendono a martellate sulle p… ginocchia. Per il bene di chi? Forse un po’ di buon senso farebbe comodo

inserito il 2 Aprile 2009

 

Bottiglie di Asti spumante con il vecchio simbolo del Consorzio di tutela

Bottiglie di Asti spumante con il vecchio simbolo del Consorzio di tutela

Sulle pagine nazionali di Le Monde, quotidiano progressista d’Oltralpe, a pochi giorni dalla più grande fiera enologica di Francia, il capo di una delle più importante maison di Champagne prende a sberle il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (Civc), sorta di consorzio che raggruppa vignerons e Case vinicole.

 Alla base della querelle il fatto che sul mercato ci sono anche Champagne a basso costo. Secondo l’esponente della maison questi prodotti determinerebbero uno svilimento del prodotto. I vertici del Civc sono di parere opposto e difendono l’integrità del comparto negando lo sputtanamento commerciale del prodotto. Diciamo subito che questa notizia è inventata, non esiste, prendetela come un pesce d’aprile a scoppio ritardato. Quello che invece non è uno scherzo, purtroppo, è l’intervista doppia che compare sulla stampa edizione del 2 aprile 2009, giorno di apertura del Vinitaly di Verona, a torto o a ragione considerata la più importante fiera vinicola d’Italia. Orbene a pagina 21 de La Stampa di Torino, sotto il titolo “La guerra delle bollicine”, compaiono due interviste: una a Giovanni Minetti, direttore generale di Fontanafredda, una delle più importanti case vinicole dell’Albese; e una a Emilio Barbero, manager Campari e presidente del Consorzio tutela dell’Asti e del Moscato. Tema: la qualità dell’Asti spumante, ovvero come farsi del male da soli. In sintesi: da una parte Minetti tira fuori tutti i mali del comparto, dal minimo prezzo garantito anche per uve coltivate in zone non particolarmente vocate (ma comprese nella zona di produzione), allo sputtanamento di Asti venduti a prezzi bassi, al fatto che la grande ristorazione snobba lo spumante dolce intaliano più venduto al mondo (quasi 80 milioni di bottiglie l’anno). Barbero replica e accusa Minetti e Fontanafredda di denigrare il lavoro degli altri, difende l’accordo interprofessionale tra viticoltori e case spumantiere, ribadisce che le industrie per partite di pregio possono pagare l’uva anche di più del minimo prezzo garantito, che l’accusa di scarsa qualità non è vera e che c’è un piano di rilancio di immagine da 40 milioni in 5 mercati. Risultato: un bello sputtamento mediatico. Ma Minetti e Barbero non potevano telefonarsi? Ed era proprio il caso di azzuffarsi su un prodotto che, nonostante la crisi, rappresenta, per ora, ancora una voce positiva nel panorama desolato e desolante dell’enologia italiana? No, proprio non era il caso, nè il momento. L’anno scorso, sempre all’apertura del Vinitaly di Verona, l’Espresso lanciò un’inchiesta intitolata Velenitaly. Vi si scriveva della pericolosità di 70 milioni di litri di vino a basso costo venduti in tutta Italia,di botti sequestrate con tracce di concimi, sostanze cancerogene, acqua, zucchero, acido muriatico e solo un quinto di mosto. Di magistrati che contestavano il reato di sofisticazione alimentare che punisce chi produce sostanze pericolose per la salute. Insomma una bufera, anzi un maremoto. L’immagine del vino italiano fu infangata proprio all’apertura della più grande fiera enologica italiana. La rissa verbale tra Minetti e Barbero non è, per fortuna, a questi livelli. Comunque il Piemonte vinicolo, che quotidianamente combatte con crisi economica, la concorrenza agguerrita (in Italia e all’estero), la scarsa comunicazione, la miopia imprenditoriale, ne avrebbe fatto volentieri a meno.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

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