L’emergenza da Coronavirus Covid-19 è stato ed è ancora, purtroppo, uno straordinario brodo di coltura per le più disparate stupidaggini messe in giro da spacciatori seriali di fake news e da ignoranti compulsivi a cui i social soprattutto danno facoltà di parola su tutto lo scibile umano.
Il mondo del vino ha la sua parte di bufale.
Fra quelle che stanno circolando attraverso un sotterraneo passaparola c’è la domanda “può il vino essere veicolo di Covid-19?”.
Qualche produttore ci ha confermato che la domanda, più o meno velata, è stata fatta in massima parte da importatori esteri, come non bastassero già i problemi di logistica e commerciali.
La risposta è no, il vino non può essere infettato dal virus semplicemente perché lo stesso non è in grado di sopravvivere in un ambiente alcolico e con un “ph” (n chimica, grandezza che misura l’acidità o la basicità di una soluzione) come quello del vino. Anzi il vino ha anche una qualità disinfettante.
Dunque spazziamo via questa bufala: il vino non può essere contagiato da Covid-19.
Per avere conforti scientifici abbiamo girato la domanda a due scienziati del settore: Vincenzo Gerbi, docente universitario, professore ordinario di Scienze Tecnologie alimentari e titolare di corsi su temi enologici e di vitcoltura ad Alba e Asti; e Mario Fregoni, già ordinario di Viticoltura all’Università Cattolica-Piacenza.
Per il prog. Gerbi la bufala del vino infetto da Covid-19 è colossale: «Una bevanda a base di alcol, il ph basso, i polifenoli (sostanze naturali presenti nella vite e nel vino note per la loro funzione antiossidante e utili nel contrastare i radicali liberi e proteggere l’apparato cardiovascolare con effetti positivi sulla salute ndr) non può in nessun modo favorire il Covid-19. Dico di più, il vino è bevanda ad azione disinfettante e questo lo sappiamo dall’antichità. Lo sapevano benissimo, ad esempio, gli antichi romani che davano ai soldati delle loro legioni alla conquista del mondo scorte di vino da dividere tra i soldati. Lo scopo non era, come alcuni pensano, di fornire loro una sostanza con cui infondere coraggio, quanto dare loro un formidabile strumento per rendere potabile l’acqua in qualsiasi situazione. Infatti unire un 20% di vino all’acqua elimina gli agenti patogeni che potrebbero averla infettata. In questo modo l’Impero impediva che le sue truppe fossero decimate da tutte le patologie trasmesse da acqua infetta. Figuriamoci con il Covid-19».
Dello stesso avviso il prof. Mario Fregoni che fa notare come tra i “presidi” anti contagio ci siano disinfettanti a base alcolica, «Il vino è a base alcolica, su questo, almeno, non si discute» e rimanda a un suo intervento, proprio su questo tema, pubblicato qualche giorno fa dal quotidiano La Libertà di Piacenza, con spunti storici e scientifici e che noi pubblichiamo integralmente. Eccolo.
“I maggiori Paesi viticoli sono attraversati dal fenomeno Coronavirus e il vino sta soffrendo una grave crisi nei consumi e nell’esportazione. Circolano voci , non suffragate da prove scientifiche, secondo le quali anche il vino potrebbe essere un veicolo di contagio. Al contrario ricordo che vi sono numerose dimostrazioni storiche dell’uso del vino come antisettico in differenti pandemie internazionali. Londra per tre secoli ha bevuto molto Claret (ancora sinonimo di Bordeaux in Inghilterra) perché non aveva acqua potabile sana. Il Cardinale Alberoni ( 1664-1752) nel suo testamento ha lasciato scritto che ogni membro del Collegio (seminario) di Piacenza aveva diritto a 7 litri di vino al giorno al fine di sostituirlo con l’acqua biologicamente inquinata. Louis Pasteur ( 1882-1895) ritenuto il fondatore della microbiologia moderna, aveva definito il vino come la più sana ed igienica delle bevande. Il Papa Paolo III Farnese ( 1534-1549) si lavava ogni mattina con un vino che avesse almeno 8 anni di invecchiamento, come scrive il suo bottigliere Sante Lancerio nel libro “I vini d’Italia giudicati da Paolo III Farnese” ( 1559). Diverse popolazioni in passato si sono salvate dalle epidemie sostituendo l’acqua infetta con il vino. E chi non ricorda il “Vin brûlé” che i nostri avi usavano contro i raffreddori e le influenze? Sarebbe pertanto opportuno chiedere ai virologi specializzati la dimostrazione scientifica della incapacità del Coronavirus di vivere nel vino, dato che contiene, oltre all’alcol, numerosi polifenoli che hanno un’azione antivirale e rafforzano le resistenze del corpo umano. Quanto sopra non sopprime, ovviamente, il consiglio del consumo moderato del vino”.
E, aggiungiamo noi, di rispettare le indicazioni del Governo: stare a casa, evitare in ogni modo spostamenti e luoghi affollati, niente strette di mano e abbracci, lavarsi frequentemente le mani e tutte le regole del decalogo che pubblichiamo qui.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)