Dark Mode Light Mode

Ecco il “Canei” made in Canelli, storia di un vino dal gusto internazionale, ma con radici piemontesi

range_standardDiciamo la verità, gli eno-ortodossi hanno sempre storto il naso davanti al Canei, il vino frizzante aromatizzato, nato una ventina di anni fa. Troppo innovativo, fuori dalle regole consuete dell’assioma vino = prodotto mito intoccabile legato a riti e processi immutabili o scarsamente mutabili. Gli esperti di economia no, hanno sempre considerato il Canei per quello che era e che è: un’ottima idea enologica (dovuta all’imprenditore vinicolo Luigiterzo Bosca e al suo enologo Francesco Paschina) che si è inserita bene in un mercato, quello delle bevande (che comprende anche il vino, da quello in tetrapack alle bottiglie d’autore) fortemente concorrenziale. Un po’ di numeri: oggi il Canei è venduto in 12 Paesi in oltre 12 milioni di bottiglie con u n giro d’affari milionario e proiezioni di crescita ad almeno 35 mercati con progetti per Cina e altre nazioni emergenti o già “emerse”, commercialmente parlando. Oggi, però, Canei diventa anche il simbolo di un modo nuovo di fare business che smentisce l’assioma secondo il quale il mercato globale si aggredisce solo con megafusioni industriali e finanziarie. In questi giorni, infatti, Pernod Ricard Italia (Pri) che ha venduto il marchio Canei alla Baarsma, compagnia olandese specializzata nella commercializzazione di vini nel mondo, ha ufficializzato il passaggio della produzione del vino frizzante alla Cantina Sociale di Canelli, 160 soci, storia centenaria legata alla più pura tradizione eno-contadina piemontese. Gli effetti: l’enopolio ha visto decuplicata la sua attività industriale, la Canei è rimasta a Canelli (avrebbe potuto essere tranquillamente trasferita in altre parti d’Italia, ma persino all’estero), si sono mantenuti in loco 30 posti di lavoro, e si sono aperte nuove prospettive imprenditoriali per una cooperativa che navigava in acque agitate. Il tutto in momento di crisi economica che sta investendo, come un tsunami, anche il mondo del vino. E i dati del Barolo (-30% rispetto al 2008) sono significativi. Artefici di questa operazione sono stati i presidente della Cantina sociale di Canelli, Roberto Marmo, il direttore generale della Pri, Pierstefano Berta, insieme all’ad Noel Adrian e ai vertici di Baarsma, rappresentanti da Joan Van Der Westhuyzen e Jean-François Goethals, rispettivamente direttore generale e responsabile vendite internazionali del gruppo Baarsma. Chapeau.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

View Comments (4) View Comments (4)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Previous Post

Etilometro obbligatorio al ristorante: l'ira dei ristoratori. «Così il Governo ci danneggia». E c'è chi pensa ad una spedizione "chiarificatrice" a Roma

Next Post

Gancia cala il suo poker: cinque nuovi spumanti Metodo Classico destinati all'Horeca

Pubblicità