Ecco i Moscati stranieri venduti (bene) negli Usa sfruttando l'”italian sound”. E gli italiani? Litigano e stanno a guardare

inserito il 16 Agosto 2010

Il Moscato: un vitigno e un vino internazionale che coltivano, vinificano e vendono in molti, non solo in Italia. L’Asti spumante: prodotto e brand italiani, inimitabile che andrebbe valorizzato evitando le speculazioni. È questo il messaggio che un giovane produttore vinicolo affida ad una relazione inviata a Sdp al suo ritorno da un viaggio di lavoro negli Usa.

L’autore è Stefano Ricagno, enologo, al timone di Cà dei Mandorli, maison vinicola con sede e vigneti al confine tra Artigiano e Acquese e figlio di Paolo Ricagno, imprenditore vinicolo e presidente del Consorzio dell’Asti.

«Ho fotografato – racconta a Sdp – bottiglie di moscato straniero, vendute allo stesso prezzo di un nostro Moscato d’Asti di qualità, cioè di quei produttori che sul blog saporidelpiemonte.it sono riconosciuti come i pionieri del moscato tappo raso (ed è vero). Ma è altrettanto vero – avverte – che se non lo vendiamo noi il Moscato lo vende il mondo intero e per giunta al nostro prezzo. Pensiano al margine che può avere un Moscato prodotto in Argentina da una azienda spagnola e distribuito dalla stessa azienda iberica sul mercato americano. E come si vede dalle foto che ho scattato viene venduto con una etichetta “italiana”!!!».

Stefano Ricagno fornisce anche una personale analisi sul momento commerciale e dichiara: «Il mio pensiero, da giovane produttore che cerca di guardare oltre ai confini della propri regione, è quello che in un mondo che si globalizza sempre più dovremmo puntare su quei prodotti che non possono essere copiati o che non traggono in inganno il consumatore. Quindi perché non puntare sull’Asti spumante che non è solo un vino ma un brand, cioè un marchio, vero e proprio che nessuno potrà copiarci a livello commerciale? L’Asti – conclude – lo possiamo fare e vendere solo noi mentre il Moscato, purtroppo, lo possono fare e vendere in tutto il mondo».

Riflessione che giriamo ai protagonisti della filiera in questi giorni impegnati nelle trattative, quanto mai difficili, sull’accordo che determinerà rese e prezzi delle uve moscato per la vendemmia 2010 che è ormai alle porte

Ma veniamo alle fotografie che ci ha fornito Stefano Ricagno: eccole

Partiamo da Opera Prima, definizione scritta in bella evidenza e in italiano sull’etichetta di un vino spumante che si presenta come “spanish moscato“, scritto con carattere più piccolo e solo in controetichetta. Insomma la somiglianza estetica con uno spumante italiano a base spumante, Asti e Moscato che sia, è evidente. Dalla foto si evince che il produttore è l’azienda spagnola Garcia Carrion La Mancha. Se si mette questa definizione su Google appare il sito di un’industria iberica di succhi di frutta. Se, però si aggiunge il nome del vino, allora si scopre che esiste un marchio Carcia Carrion che commercializza vini. Il sito è questo, ma non vi è traccia di Opera Prima venduto negli Usa. Invece, nella sezione “vinos especiales” ecco comparire uno spumante dolce a base moscato che viene indicato come “moscatel” denominato come Don Luciano Espumoso Moscatel.

La grafica dell’etichetta è identica a Opera Prima. Cambia solo il nome. Non può essere escluso, visto le analogie di confezione, tipologia di vino e uva base,che Opera Prima e Don Luciano siano la stessa cosa, lo stesso vino solo venduto con nomi diversi in mercati diversi. Una curiosità: il prezzo a bottiglia del Don Luciano indicato, secondo il sito aziendale, è do 1,95 euro. Prezzo negli Usa di Opera Prima, rivelato da Ricagno sullo scaffale: 14,90 dollari, poco meno di 12 euro e comunque meno dei 16,5 dollari a bottiglia (13 euro) a cui famose marche vendono il proprio Moscato d’Asti negli Stati Uniti.

Vivace, invece, è uno spumante commercializzato negli Usa da Freixenet Argentina, braccio operativo del famoso gruppo spagnolo produttore di vini e soprattutto di spumanti venduto in tutto il mondo. Anche in questo caso si usa in etichetta una parola italiana e l’uva base denunciata è il moscato. Sul sito, per la verità, Vivace ha un’altra etichetta, più fresca ed europea rispetto a quella “mmericana” fotografata da Ricagno. Eccola.

È possibile che il nome sia rimasto lo stesso, ma l’azienda abbia calibrato immagini diverse per mercati e Paesi diversi.

Ma c’è di più. Il valore aggiunto di assomigliare ad un prodotto italiano è talmente importante e strategico per l’azienda – con propria base americana a Mendoza, provincia argentina ad alto tasso vinicolo e che tra Ottocento e Novecento accolse moltissimi emigranti italiani – che in etichetta e sul sito il moscato spumante è presentato come un omaggio a quegli emigranti italiani che hanno influenzato la cultura argentina.

Viva la faccia, verrebbe da dire.

In conclusione sia le fotografie giunte dagli Usa – che nonostante accordi e leggi si conferma la terra della eno-deregulation – che quelle raccolte da noi in Sicilia testimoniano come Moscato e Asti siano al centro di operazioni commerciali che tendono all’emulazione. Senza possibilità, soprattutto per il Moscato d’Asti, di difendersi da azioni di concorrenza, se non sleale, quanto meno discutibile.

E anche di questo produttori, consorzi e istituzioni dovrebbero interessarsi, magari collaborando per mettere in pratica strategie comuni, invece di dare vita ad una lite continua che non seve a nulla.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

9 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. filippo 18 Agosto 2010 at 11:05 -

    ecco, a parte tante parole, punterei proprio su quel “…bisogna essere i migliori”… in tutti i sensi e a tutti i livelli. Poi, per carità, scanniamoci pure, ma dopo avere conquistato posizioni da leader (che è meglio…).

  2. giovanni bosco CTM 18 Agosto 2010 at 09:56 -

    Bravo Luca, non bisogna aver paura delle copie e come dice maurizio “quando uno si avvicina alle “copie” poi vuole l’originale”.Ti porto una testimonianza. Sai quando ho capito di avere successo nel mio lavoro? Quando un concorrente che porta il mio stesso nome e fa il mio stesso mestiere, ma a 30 km da qui, ha assunto un suo rappresentante nella mia zona. Non ho perso contratti anzi…
    bisogna però essere…i migliori.

  3. luca vola 17 Agosto 2010 at 21:17 -

    spero di aver interpretato male cosa ha detto il signor stefano ricagno altrimenti ha davvero dell’assurdo..puntare sull’asti perchè è un marchio non imitabile? ma stiamo scherzando? mi pare che qualcuno gioca al ribasso: c’è un vino ( moscato d asti) che ha avuto un grande incremento di vendite, è il vero simbolo del nostro territorio, un prodotto eccellente e ineguagliabile, espressione di molte piccole bellissime realtà, ci permette di trarre un reddito dignitoso pur lavorando solo dei surì..e qualcuno dice di puntare sull’asti per limitare i falsi?non riesco proprio a concepire..una volta i ladri venivano ricercati e puniti affinchè il furto non avvennisse più, adesso che vogliamo fare, non tenere più il televisore o l’auto bella affinchè non ce la rubino?????forse sarebbe meglio smettere di fare il cane che si morde la coda e invece di inventarsi “genialate” risolvere i problemi alla radice…

  4. maurizio 17 Agosto 2010 at 15:07 -

    Il vitigno è per definizione cosmopolita e riproducibile, il territorio è unico, ha ragione Stefano Ricagno. Vale sia per l ‘Asti e che per il Moscato d’Asti. Se il moscato è “di moda” non c’è da lamentarsene ma da rallegrarsene, perché normalmente quando uno si avvicina alle “copie” poi vuole l’originale. Il mercato del vino in USA è decollato quando la California è diventata un grande produttore e ha insegnato agli americani a bere il vino. Poi hanno cominciato a comprare gli altri. Stessa ragione per cui è stupido preoccuparsi se in giro per il mondo oggi si pianta Nebbiolo. Meglio per noi. E comunque tanto non possiamo impedirlo. Riusciamo però a impedire che se uno fa Nebbiolo a Cocconato o ad Alice bel Colle lo chiami Nebbiolo (nella DOC Piemonte non è stato previsto), ma se lo fanno in Argentina va bene. Svegli, siamo.

  5. Michele A. Fino 17 Agosto 2010 at 05:41 -

    Due osservazioni a margine, visto che l’ottima testimonianza del signor Ricagno conta certamente su qualche attenzione nel Consorzio del Moscato.
    Il Moscato è una varietà autorizzata in Spagna? Se sì con quale nome: italiano o spagnolo? Nel volume “De la cepa a la copa” di José Antonio Sáez Illobre,Jesús Flores, María Isabel Mijares e García Pelayo (Madrid 2007) non c’è traccia tra i vitigni spagnoli autorizzati del moscato, ciò significa che se c’è occupa meno dell’1% della superficie viticola spagnola.
    Ma poniamo che ci sia. La Freixenet è casa Spagnola, l’Opera Prima indica il Made in Spain in etichetta e quindi deve rispettare le regole sull’etichettatura dell’OCM Vino. La faccio breve: il Consorzio promuova la verifica del rispetto delle regole in sede UE, perché su un vino spagnolo ha pieno titolo a farlo e nel caso di specie, poi, un vino prodotto in un paese che partecipa al WTO imita palesemente quello a denominazione di origine protetta di un altro paese aderente.
    Nel merito dell’analisi, aggiungo solo che occorre valutare attentamente se un mercato dove si deve occorre andare a competere sotto l’1,95 a bottiglia finito (perché poi mi pare questo il vero tema: non è che se c’è il nostro di sicuro lo comprano. E’ anche possibile, anzi probabile, che comprino o continuino a comprare quello che sembra moscato dall’etichetta e costa meno, anche se il nostro è disponibile) sia un mercato davvero interessante. O comunque sia da tenere in tale considerazione da modificare la produzione, preparando quantitativi molto massicci (prediligendo logiche puramente mercantili), mettendo in conto l’eventualità, più che probabile, di dovere, prima o poi, svendere almeno in parte, rischiando la saturazione della domanda e un conseguente (ulteriore rispetto all’1,95 di cui si parla nell’articolo: che poi è listino, chissà a che prezzi reali esce quel vino!), deprezzamento di un prodotto che negli anni ha acquisito fama e prestigio: prova ne siano le imitazioni.

    Michele A. Fino
    Docente di legislazione vitivinicola ed enologica
    Facoltà di Agraria – Università di Torino

  6. filippo 16 Agosto 2010 at 15:14 -

    Ok al rinforzo delle radici e la cultura non è mai noiosa. E sul Moscato (io lo so perché c’ero) Cepam, Ctm e Comuni hanno fatto tanto e devono fare ancora cose preziose. Io dico solo che occhio a non rompere il giocattolo o anche solo dare l’occasione a qualcuno di romperlo per poi dare la colpa ai viticoltori. È uno scherzetto che è già stato provato in passato. Sul bene dopo il dolore alle parti basse ti credo… sulla parola però…

  7. giovanni bosco CTM 16 Agosto 2010 at 14:48 -

    Solo le piante con solide radici resistono alle bufere. E’ sempre più importante che il moscato venga sostenuto da una lunga e forse noiosa, ma importantissima cultura dove si possano rinforzare le nostre radici. CE.P.A.M. , Associazione dei Comuni del Moscato, CTM…tutto questo non è arrivato per caso e tu che ne sei stato testimone puoi capirlo. Per le mazzate sulle palle e io ne ho prese tante , sapessi come si sta bene dopo che è passato il dolore…

  8. filippo 16 Agosto 2010 at 14:31 -

    Lungi da me l’idea di normalizzare il mondo del moscato, ma tra l’acqua stagnante e darsi delle mazzate sulle palle (pardon!) c’è differenza. In quanto alla concorrenza sleale, beh non sarebbe ora di metterci mano per non fare sempre la figura dei fessi?

  9. giovanni bosco CTM 16 Agosto 2010 at 14:09 -

    In quarant’anni di esperienza, anche di vendita, ho visto che la concorrenza, anche sleale, c’è stata e sempre ci sarà. Mi ricordo che negli anni sessanta a noi piemontesi che vendevamo il moscato, allora di canelli, in giro per l’italia ci chiedevano se era quel vino fatto con le mele.Tantè che negli anni ’80 l’Asti Spunate era venduto ad un terzo del prezzo che viva venduto negli anni ’50.
    Se si spaventano di questo i nostri cari produttori di Moscato d’Asti cambino mestiere, possono sempre piantare patate o come diceva il buon prof. Cerruti piantare qualcos’altro e…godere subito. Per quanto riguarda le liti nel mondo del moscato ci sono sempre state e forse questo ha fatto sì che ci fossere idee nuove e nuove iniziative. Solo l’acqua ferma puzza e non serve a nulla.

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