I cinesi piantano 10 mila ettari di moscato e i francesi puntano sugli Champagne dolci. Intanto il mondo del moscato litiga sui propri confini e punta e regalare calici ai turisti. È la mera cronaca di quello che sta accadendo in questi giorni e che coinvolge la filiera piemontese del moscato, un comparto che produce volumi e reddito: poco meno di 100 milioni di bottiglie tra Asti e Moscato d’Asti docg vendute ogni anno, 10 mila ettari di vigneti coltivati da 4 mila famiglie (15 mila addetti totali) e distribuiti in 52 Comuni del Sud Piemonte tra Astigiano, Alessandrino e Cuneese, un giro d’affari annuale di 300 milioni di euro e export che copre l’80% della produzione. Insomma un discreto business. Tanto che se ne sono accorti anche gli altri. Come i brasiliani, che da tempo producono Moscato “tipo Asti” o “processo Asti” che s’ispira al prodotto piemontese (leggi qui).
Ma si stanno muovendo anche altri colossi. I cinesi hanno piantato 10 mila ettari di moscato, guarda caso proprio la dimensione dell’area di produzione della docg piemontese. Ne ha dato notizia il Corvino (leggi qui), ma i vertici del Consorzio di Tutela, che proprio in Cina hanno impegnato risorse nel progetto Lady Asti, non sembrano preoccuparsi più di tanto, almeno a leggere le dichiarazioni riportate dai colleghi del Corvino.
Qualche preoccupazione, invece, l’hanno comunicata a SdP alcuni produttori di rango che hanno segnalato in redazione l’intensa attività reclamizzante di alcune importanti maison di Champagne nel promuovere e valorizzare i loro prodotti dolci e demi-sec. Che i francesi facessero champagne dolce è roba vecchia. Anzi, alcuni storici delle bollicine francesi sostengono che lo Champagne alle origini fosse anche con percentuali di zucchero importanti. Ed è proprio ispirandosi a quelle origini che alcune maison stanno puntando su Champagne “sweet”. Ecco dunque il Rich di Veuve Cliquot o il Moët Ice Impérial che come Veuve Cliquot fa parte del gruppo del lusso LVMH del magnate Bernard Arnault. Il primo si rifà esplicitamente alla storia degli Champagne dolci di fine Ottocento e indica, senza tema, nella fascia bassa della classica etichetta arancione il termine dolce. Il secondo si dichiara demi sec (quasi dolce, insomma) e si promuove con un’immagine alla moda sottolineando l’abbinamento con frutta e preparati da cocktail, tanto che ricorda molto l’Asti Hour, cioè il mix con la frutta che il Consorzio dell’Asti sta promuovendo da un paio d’anni.
Per la verità non sono gli unici Champagne dolci sul mercato. Lettori di SdP ci hanno segnalato piccoli produttori della zona della Champagne che producono ed offrono Champagne dolci. Ma il fatto che grandi maison ora stiano investendo soldi e risorse nel promuovere questo tipo di prodotto, potrebbe rappresentare un concorrente in più per l’Asti e il Moscato docg, come già non bastassero i tarocchi americani e quelli fatti in Russia dove anni fa fu scoperta una mega produzione di falso Asti. E in un momento che non appare roseo con tante grane da risolvere: dal disaccordo della filiera sul blocage/deblocage per la vendemia 2015, alle liti giudiziarie sull’ampliamento dell’area di produzione, all’esigenza di aumentare le vendite in Italia e all’estero, magari anche discutendo sull’eventualità di concedere l’imbottigliamento dell’Asti anche fuori della zona di produzione, magari ai veneti che con il fenomeno Prosecco sembra stiano davvero creando più di qualche problema, almeno stando alle notizie che ci giungono da esperti di mercato internazionale, alla corazzata Champagne facendo addirittura scricchiolare “la grandeur” della Francia del vino con colpi a quello che ai francesi (ma anche agli italiani) importa di più: fare soldi. Perché, è bene ricordarlo, il vino va raccontato, vissuto, scritto, coltivato, affinato, maturato, ma soprattutto venduto e bevuto. Altrimenti serve a nulla.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)