
Un po’ patriottici, un po’ pragmatici, un po’ attendisti. I politici italiani non si sbilanciano dopo la sparata di ieri, 13 marzo, di Donald Trump che ha annunciato dazi addirittura del 200% sui vini europei se l’UE non ritirerà l’extratassa del 50% sul wiskey americano dopo che gli USA avevano applicato dazi su acciaio e alluminio europei. Leggi qui.
Oggi, 14 marzo, mentre in Piemonte molti produttori e aziende vinicole esprimono preoccupazione per i dazi americani, i media riportano le dichiarazioni dei Ministri del Governo Meloni che reagiscono agli annunci del Presidente statunitense.
Dopo che il suo omologo francese, Laurent Saint-Martin, aveva confermato che la Francia e l’Europa non si piegheranno a diktat di Trump, anche il ministro del Commercio Estero (e degli Esteri), Antonio Tajani, prende posizione, invita alla calma e dichiara che l’obiettivo, pur continuando a voler esportare negli USA, deve essere quello di trovare altri mercati che possano assorbire i prodotti Made in Italy e cita Messico, Turchia, Paesi del Golfo, Giappone, India. Per Tajani i prodotti italiani sono di altissima qualità e per averli i consumatori stranieri sarebbero disponibili anche a spendere qualche euro in più per averli. E promette piani di supporto del Governo per le imprese che esportano.
Tradotto: teniamoci buono per tanti motivi l’amico americano, ma cerchiamo di trovare una quadra con altri.
Il ministro delle imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, si aggrappa a quello che sembra un gioco di parole e dice che non bisogna solo reagire, ma agire. Auspica una nuova politica industriale che «restituisca competitività alle nostre imprese» e invita l’Europa a seguire la strada delle riforme indicata dall’Italia.
Tradotto: La UE deve smetterla di mettere lacci e lacciuoli.
E proprio in tema di competitività dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sono arrivate precisazioni. Per i titolare del Mef i dazi sono una iattura per tutti, ma potrebbero anche essere un’occasione per rifondare un WTO (l’organizzazione mondiale del commercio) più dalla parte delle imprese che rispettano normative sociali e ambientali rispetto a quelle filiere produttive che hanno attuato concorrenza sleale ignorando qualsiasi normativa. Insomma per Giorgetti sarebbe ora di ripensare a nuovi “deal” sulla globalizzazione che, sostiene, ha spazzato via anche molte imprese italiane.
Tradotto: stop alla concorrenza di imprese straniere che non rispettano né manodopera né norme di salute e magari hanno accesso a risrse energetiche a basso costo.
Dichiarazioni a parte resta il clima teso tra USA e resto del mondo, dal Canada all’Europa, dalla Cina alla Groenlandia, per la guerra commerciale globale che l’amministrazione Trump sembra aver intrapreso a spada tratta.
fi.l.