Nuove regole contro le aziende che considerano l’Asti spumante un «prodotto civetta», da vendere a meno di 2 euro la bottiglia; riavviare il piano di rilancio, mai veramente decollato; creare i presupposti per alzare il prezzo di vendita dell’Asti; risvegliare l’orgoglio sopito di un territorio che non crede nello spumante dolce italiano più venduto al mondo. È la road-map tracciata dal presidente del Consorzio di tutela, Paolo Ricagno, alle prese con una profonda crisi dell’ente enologico fondato 77 anni fa.
Il quadro è fosco. I guai maggiori a Ricagno li hanno dati Gancia e Martini & Rossi che dieci giorni fa, con un comunicato, hanno annunciato l’intenzione di uscire dal Consorzio, «per percorrere in autonomia il percorso di promozione dell’Asti».
Nessuno lo dice, i secessionisti men che meno, ma è evidente la critica alle ultime gestioni consortili, al piano di rilancio da 40 milioni di euro che non ha impedito a molti di vendere l’Asti a prezzi di saldo, lasciando altri, quelli dell’Asti pregiato, dell’Asti sigillo delle feste più belle, dell’Asti alla «Oh happy days», a far la figura dei fessi, destinati a perdere la battaglia sulla Grande distribuzione che taglia i prezzi come una moltofalciatrice.
E allora tutti a correre dietro all’idea di fare una “Formula Uno” dell’Asti, lontana dalla “B2, cioè dai clamori degli “eno-paria” che vendono bottiglie un tanto al metro.
Per questo Ricagno vuol ricucire a tutti i costi con i marchi storici “ribelli”. E assicura: «C’è ancora spazio. A Gennaio di incontreremo. Se sono necessari sacrifici li faremo». Dove i sacrifici sono da intendersi un taglio di qualche milione di bottiglie in cambio di un aumento del prezzo di vendita dell’Asti.
E per cancellare anche solo il pensiero che Gancia e Martini & Rossi escano definitivamente dal Consorzio – «allo stato ci sono solo comunicazioni, non passi formali» – il presidente mostra i muscoli del Consorzio. «Il 16 dicembre scorso – annuncia – abbiamo varato regole ferree sui tutoraggi (cioè sulla possibilità per i produttori di imbottiglia Asti con l’etichetta di clienti terzi, come la grandi catene della Gdo ndr): dal primo di gennaio si potrà avere solo tre marchi-etichette oltre la propria e dovranno essere di proprietà».
Al vaglio dei dirigenti consortili anche la possibilità, questa forse più difficile da praticare, di privare del sigillo del Consorzio chi vende da un certo prezzo in giù. Una roba, però, da studiare bene, sempre che sia fattibile.
Sui prezzi bassi, sull’Asti, come noi di Sdp abbiamo rilevato, venduto a meno di 2 euro la bottiglia (il costo di produzione si aggira attorno a 1,50 euro) Ricagno allarga le braccia. «È un problema di lungo corso. Bisogna affrontarlo tutti insieme» si limita a dire e poi cala l’asso del piano di rilancio: «Il consorzio ha i conti in regola e i soldi per la promozione. La réclame l’hanno fermata le grandi Case perché non ci credevano più. Per me è stato un errore. La “marca” non s’identifica con un territorio. C’è una filiera fatta di contadini, cantine sociali, Comuni, aziende agricole oltre che di Case spumantiere».
Poi spunta una teoria quasi complottistica: «Non vorrei – avverte Ricagno – che, invece di una strategia di marketing, l’uscita dal Consorzio si tramuti in uno stratagemma per abbassare il prezzo dell’uva. Io a questo non ci sto. Non sarà il presidente che chiude il Consorzio e neppure quello che sta a guardare chi smonta l’accordo interprofesisonale che da più di trent’anni garantisce reddito ai viticoltori e stabilità alla filiera, industrie in testa».
I nodi da sciogliere, tuttavia, sono tanti, forse troppi: l’Asti svilito in patria e all’estero, il piano di rilancio avviato e poi bloccato e poi riavviato e poi ribloccato, le forze centrifughe – Gancia e M&R, ma anche la Fontanafredda del Farinetti-re-mida e una pattuglia di piccoli produttori – di chi non crede più al valore di avere un Consorzio di tutela come garante, senza contare la crisi economica globale, la famiglie che non ce la fanno, il crollo dei consumi.
Ricagno replica elencando le sponsorizzazioni di livello, la presenza a trasmissioni tv. e pazienza se il brindisi in Rai si farà il 3 gennaio, buono, forse per la Befana.
Quindi lancia il cuore oltre l’ostacolo: «L’Asti – dice – è lo spumante italiano per antonomasia, è al centro di un territorio candidato a diventare Patrimonio dell’Umanità, ha potenzialità enormi e ancora inespresse, che si traducono anche in progetti di reddito da non ignorare».
Belle parole. Resta da vedere se basteranno queste, le intenzioni, e magari anche qualcosa di più, per ricucire strappi che rischiano di diventare squarci profondi.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)