Nuove etichette, buone performance sui mercati internazionali, voglia di far conoscere e vendere i propri prodotti, azioni di promozione di alto livello, forum coi media nazionali e internazionali. Il mondo del vino piemontese sembra scuotersi da un torpore durato troppo a lungo. Ma a muoversi sono le realtà private e quelle cooperativistiche, il resto, istituzioni, consorzi, rete delle enoteche, appare immobile.
Enopoli in attività frenetica.
È il caso della Cantina sociale di Vinchio & Vaglio (Asti) che recentemente ha presentato nuove etichette tra cui spicca l’Arengo, un rosso a bassa gradazione che da qualche settimana è venduto anche in bag-in-box con un rapporto qualità prezzo imbattibile e grande successo di pubblico e critica, tanto che ne sono stati vendute 40 mila bottiglie.
È il caso dell’Antica Cantina di Canelli (Asti), che punta alla visibilità attraverso un altro testimonial dell’eccellenza italiana nel mondo, la musica lirica, tanto che con un suo spumante metodo classico ha sponsorizzato le celebrazioni per i 270 anni del Teatro Regio di Torino e il “brindisi” della Traviata di Verdi nell’anno del 150° dell’Unità italiana.
È il caso della cantina sociale Barbera dei Sei Castelli di Agliano Terme e Castelnuovo Calcea (ancora nell’Astigiano), che lo scorso anno ha lanciato con successo 10 e Mezzo, un bianco da uve cortese, che a breve avrà anche un’edizione 2012.
Eno-maisons in prima linea
Ci sono poi le aziende private che cavalcano l’onda verde del Moscato d’Asti che ancora oggi continua a vendere alla grande, soprattutto all’estero e nonostante le sirene che hanno previsto una contrazione di volumi. Su questo filone da segnalare Capetta di Santo Stefano Belbo (Cuneo) il cui Moscato docg risulta tra i primi tre vini più venduti in Corea (i primi due sono due Cabernet Sauvignon non italiani), distanziando di quale posizione quello della Gancia (Canelli) oggi controllata dall’oligarca russo Roustam Tariko, uno che ha un patrimonio stimato da quasi 2 miliardi di dollari e che a lato della conferenza stampa con cui qualche mese fa annunciava il passaggio di mano della Gancia, ai giornalisti che gli chiedevano perché avesse acquistato l’azienda dove è nato i primo spumante d’Italia rispose: «Guardatevi intorno. Qui c’è una storia centenaria che va raccontata. Qui c’è la tradizione». Spiace che lo abbia detto a noi italiani uno straniero. E che dire di un altro cuneese, Toso (Cossano Belbo) che ha recentemente acquisito il marchio Morra (Barolo), ha lanciato nuovi spumanti e continua a proporre nuove etichette e persino un originale condimento a base di vino, Vinchef, per ora unico esempio di vino aromatizzato destinato alla ristorazione.
“Piccoli” sugli scudi
Senza dimenticare i singoli produttori che, sempre di più, riescono ad emergere sui media stranieri. Due casi per tutti: il barolista Rivetto, i cui vini sono finiti in una scena di Heareafter, visionario film di Clint Eastwood; e il vino bianco, l’Arcese, del canellese Bera finito tra i vini migliori per il pranzo del Ringraziamento indicati niente meno da dalla rubrica enologica del New York Times.
Consorzi tra luci e ombre
Infine la nota dolente dei consorzi di tutela. Il più attivo sembra essere quello dell’Asti docg che con partecipazione a fiere italiane e straniere, sponsorizzazioni di livello, forum, convegni, canali web e comunicazione puntuale, prosegue nell’attività di valorizzazione e promozione delle due denominazioni Asti docg e Moscato d’Asti docg che insieme, nel 2011, hanno superato i 100 milioni di bottiglie vendute.
Per il resto pare di essere, dal punto di vista della comunicazione, nel deserto dei tartari. Pochi segnali, siti internet non aggiornati, per non parlare dell’assenza totale dai socialnetwork che oggi, con i blog, sono il mezzo di comunicazione più usato.
Chi si muove e chi sta fermo
Insomma anche il vino Piemontese, come Italia, Europa e mondo, sembra andare a due velocità: chi tira la carretta e chi si trascina. Nonostante l’attività di privati e cantine sociali non è un bell’andazzo, conferma che il comparto enologico della regione più vinicola del Belpaese resta frammentato e disunito.
Un anno fa Walter Massa, il vignaiolo “papà” del Timorasso vitigno salvato dall’estinzione da cui si ottiene un vino fascinoso e buonissimo, dichiarò proprio attraverso questo blog che il Piemonte è arretrato in fatto di valorizzazione territoriale e delle eccellenze agroalimentari. L’assessore regionale all’Agricoltura, Claudio Sacchetto, raccolse la denuncia e promise che qualcosa sarebbe cambiato. Se è accaduto se ne sono accorti in pochi.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)
buonasera,
io sono puro eno-moscatista e voglio rilanciare l’articolo con un link che ho trovato navigando su internet…. parla del confronto tra moscati piemontesi e moscato da tutto il mondo…. di nuovo si ripresentano luci ed ombre: se da una parte viene ribadita la superiore qualità, dall’altra appare evidente come siamo in balìa degli avventi, trascinati in qua e in là dalle correnti senza essere in grado di gestirle…. (unica pecca dell’articolo sta nel fatto che è in inglese… sorry):
http://www.rjonwine.com/italian-wine/moscato-madness/