Diciamoci la verità: scrivere di una manifestazione andata bene è un esercizio quasi inutile perché al di là della giusta soddisfazione degli organizzatori, la sua “santificazione” sui media rischia di risultare sempre un po’ autocelebrativa, persino oltre le intenzioni di chi scrive e di chi è oggetto dello scritto.
Dunque perché scriverne? Esattamente per lo stesso motivo per cui si avanzano critiche corrette e costruttive: far crescere eventi, manifestazioni e iniziative e magari renderli un sistema non solo utile al comparto vino, ma una tessuto di supporto a comunità sempre più allargate al di là dei Comuni, delle Province (sì, ancora ci sono) e persino delle Regioni, coinvolgendo comparti agroalimentari e tecnologici, turistici e dell’artigianato e del Terziario avanzato e dell’industria, persino quel mondo digitale foriero di nuove professionalità.
Spieghiamo: il recente successo di “Nizza è Barbera” (ne abbiamo scritto qui), insieme a quello di altri eventi dello stesso segno – Vinum, Grandi Langhe, Prima Alta Langa, Douja d’Or, Festival delle Sagre, Acqui Wine Days solo per citarne alcuni – non dovrebbe essere considerato, come spesso accade, una gratificazione particolare se non proprio locale o, nella migliore delle ipotesi, il trionfo di una filiera, di un ente organizzatore o di un consorzio o associazione.
Deve, invece, diventare lo strumento comune in grado di far crescere e sviluppare un intero territorio che potrebbe essere ben rappresentato dall’intero “brand” Piemonte.
Ora qualcuno potrebbero dire che ci sono distanze evidenti tra grandi vini rossi e bianchi venduti e celebrati in tutto il mondo, spumanti che fanno centinaia di milioni di bottiglie a prezzi più o meno popolari, vini da vitigni autoctoni e/o da varietà internazionali che oscillano tra le centinaia di migliaia e qualche milione di bottiglie e vini quotidiani da poche decine di migliaia. Ebbene, sì e no. Sì, perché le differenze sono caratteristiche e frutto di lavoro. No, perché se si vuole davvero applicare una strategia unitaria di marchio regionale servono collegamenti, non muri, non disaccordi, ma sinergie.
Difficile? Utopico? Impossibile? Forse, ma intanto bisogna provarci, magari svecchiando i vertici di enti e organizzazioni, non solo da un punto di vista generazionale, ma anche e soprattutto da quello mentale.
Di certo non è facile. Le posizioni acquisite, le leadership di mercato e di immagine guadagnate, sono difficili da reprimere, da controllare, da gestire.
Però bisogna tentare. Perché le prossime sfide, dal cambiamento climatico alla sostenibilità ambientale e sociale delle filiere fino ai nuovi competitor e a legislazioni non sempre in linea con tradizioni e culture di territorio, imporranno una comunità di intenti senza la quale “ballare da soli” potrebbe costare carissimo.
Quindi se è ottimo il successo delle manifestazioni e delle iniziative che fanno promozione e valorizzazione del territorio e delle sue eccellenze, si faccia in modo che questi traguardi siano messi a disposizione, condivisi.
Altrimenti resteranno episodi elitari, isolati e isolanti con tutto quello che ne conseguirà e non saranno cose belle.
fi.l.