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Commento. Cioccolato piemontese dolceamaro: a Novi Ligure (Alessandria) c’è chi chiude e delocalizza e chi acquista nocciole “made in Piemonte”. Intanto a Torino si fa festa nel segno del gianduiotto

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Il cioccolato non è solo un alimento, un simbolo, un regalo, una coccola o una gratificazione. È anche, forse soprattutto, un prodotto che, come tutti gli altri prodotti, va venduto, possibilmente in modo sufficiente da ricavarne reddito per le imprese e gli operatori.
In questi giorni, in Piemonte, una delle regioni più cioccolatose d’Italia, il cioccolato ha vari sapori, dall’amaro della vertenza della Pernigotti, storico marchio piemontese di Novi Ligure che ora la proprietà turca vuole spostare in casa di Erdogan causando preoccupazioni ai 180 dipendenti, tra fissi e interinali nonostante le assicurazioni che la produzione resterà in Italia affidata a un gestore terzo (leggete qui); al dolce della notizia secondo la quale il gruppo dolciario della Novi-Elah-Doufour avrebbe concluso l’accordo annuale con Coldiretti per l’acquisto di diecimila quintali di nocciole piemontesi che finiranno nel cioccolato “Svizzero? No, Novi!”; a quella un po’ stridente, soprattutto con la vicenda Pernigotti, di Cioccolatò la rassegna deidcata al cioccolato che si tiene fino al 18 novembre a Torino (leggete qui).
Insomma da una parte si lotta amaramente per mantenere il posto di lavoro legato alla produzione di cioccolato, dall’altra si fa business dolce nel segno del territorio (speriamo regga) e del connubio cioccolato-nocciola; e in quella che fu la prima Capitale dell’Italia unita (ironia della sorte la Pernigotti fu fondata proprio nel 1860 a ridosso dell’unificazione italiana) si festeggia mangiando gianduiotti e barrette. Più che mai in questo momento è davvero un cioccolato dolceamaro quello made in Piemonte.

F.L.

 

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