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Clamoroso. Gancia ceduta ai russi, bufala o realtà? I canellesi: «Solo collaborazioni. Chiarimenti a breve»

Gancia, la maison dove più di un secolo fa è nato il primo spumante italiano, è diventa russa? Sì, no, quasi. Una ridda di voci si è sviluppata ieri attorno al futuro della più antica azienda spumantiera italiana. La notizia della vendita della Gancia ad un oligarca russo era rimbalzata da alcuni media internazionali e ripresa da giornali e siti internet italiani. La mancanza di conferme o smentite ufficiali non ha fatto che alimentare voci e indiscrezioni.

Interpellato direttamente da Sdp, Lamberto Vallarino Gancia, della quinta generazione di imprenditori canellesi dello spumante, si è chiuso nel più stretto riserbo: «Non ho nulla da dichiarare – ha detto – anche perché – ha aggiunto – in questo momento ogni nostra dichiarazione sarebbe a rischio di essere strumentalizzata. Tutto sarà chiarito nella conferenza stampa di giovedì 15 dicembre».

Intanto, però, fonti interne alla Gancia parlano di trattative in corso con società russe per potenziare la presenza del marchio in quelle aree. «Del resto da sempre la Russia è un mercato importante per noi» conferma Lamberto Gancia.

Ma dalla collaborazione alla vendita ce ne corre, anche se – Fiat docet – dalle sinergie industriali possono nascere legami più stretti. Acquisizioni incluse.

C’è però da ricordare che non più tardi di alcuni mesi fa, proprio l’Ad dell’azienda, Paolo Fontana, nel corso di un incontro con i giornalisti aveva assicurato: «Non siamo in vendita». E solo qualche mese fa la famiglia Gancia era stata chiamata ad un aumento delle quote azionarie, segno di un maggiore impegno famigliare nella maison. Fontana aveva anche annunciato evoluzioni positive, fatturato in via di equilibrio, programmi di conquista di nuovi mercati.

C’è solo da sperare che questa eventuale dimensione globale della Gancia – sinergia, collaborazione o altro – segni una nuova stagione per l’azienda che, appena a qualche anno dall’Unità d’Italia e diversi decenni prima della Rivoluzione d’Ottobre russa, inventò il primo spumante italiano.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

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  1. Se così è, non ne sono affatto stupito. E poi non è una ragione valida affermare che non esistevano leggi regionali o statali per la regolamentazione di questi ambiti. Se si vogliono davvero il turismo e l’Unesco, nascondersi dietro l’alibi delle leggi mancanti è ipocrita: agli amministratori basterebbero il buon senso e l’amore autentico (non solo quello elettorale) per la propria terra.

  2. Caro Filippo, tutto si può dire dell’obbrobrio fotovoltaico dei Salesiani, meno che si sia trattato di una scelta “inevitabile”. Ma lo sapevi che prima della presentazione del progetto una manina rimasta ignota pensò bene di eliminare dalla “core zone” Unesco tutta la lunga, bellissima ed intatta collina di Serra Masio, onde mettere al riparo gli Attila pannellati da eventuali grane future?

  3. @Claudio: lungi da me fare il difensore d’ufficio, ma: a) in quanto ad inopportuni (e bruttissimi) campi fotovoltaici il Comune di Canelli è un buona compagnia (San Marzano Oliveto, Villanova, Alba….) e a quanto ne so la scelta è stata obbligata perché né Regione Piemonte né Stato avevano una regolamentazione. È arrivata, dalla Regione, solo dopo che sono scappati i primi buoi, cioè quando si sono fatti roventi le polemiche attorno a queste brutture… per quanto riguarda “mettere le mani avanti” è il secondo nome di molti politici… magari gli stessi che fino a qualche mese fa snobbavano i progetto bollandolo come “una roba che interessa solo a quelli di Canelli”… e sul “porco” evidente abbiamo visioni differenti…

  4. Nel mio commento, parlando di “teatrini” autorefenziali mi riferivo chiaramente a quelli dei politicanti (di proposito non ho scritto “politici”) e non alludevo a quelli dei 6 nomi del vino anche perché c’era ben poco di autorefenziale in loro: con tutto il rispetto per l’età e la profesionalità, spesso facevano discorsi lacunosi e inconcludenti o addirittura non potevano parlare dell’azienda perché ceduta da tempo (Riccadonna). In ogni caso, ci si aggrappava sempre al PASSATO e non al PRESENTE canellese: un bell’amarcord, appunto. Inoltre, le loro spiegazioni sulle scelte famigliari che hanno portato alla vendita delle aziende andrebbero filtrate alla luce di altre verità che, inevitabilmente, in una piccola comunità sono risapute. Difatti, alla diretta domanda di una giornalista, qualcuno ha preferito glissare…
    Il presente canellese ora – dopo questa bella notizia – è più chiaro a tutti.
    Io – attento al territorio, alle sue tradizioni e alla sua cultura enogastronomica – concordo pienamente con te quando stigmatizzi il servire crauti e wurstel alle sagre paesane, mentre mi permetto di sottolienare – e qui credo di non essere stato correttamente compreso – che non ho affatto criticato i contenuti della manifestazione Da porco a porco, ma ho solo espresso disapprovazione per il nome stesso della festa: dare del porco (perché questo è, fra le righe) a chi ama mangiare non è simpatica goliardia o casereccia familiarità, è semplicemente mancanza di buon gusto (e forse anche di educazione) nei confronti del turista che porta soldi.
    Per qunto riguarda il riconoscimento dell’Unesco, non sono affatto contagiato dal disfattismo canellese, ma sono consapevole della realtà dei fatti: un comune attento che punta al turismo e all’Unesco (e non parlo solo di Canelli) non permette l’installazione di pannelli fotovoltaici in una zona ancora integra, ma trova altre soluzioni. Un comune attento e consapevole non permette la costruzione di capannoni e supermercati solo per far cassa… anche perché, a ben guardare, quelli della zona, predisposti ottimisticamente con lunghe file di casse, ne fanno funzionare quasi sempre solo 2 o 3. Un motivo in più per riflettere…
    Parlando recentemente con la presidente Armosino mi sono sentito dapprima confermare il suo ottimismo circa l’esito della candidatura, ma subito dopo lei stessa ha aggiunto: “Se non passerà sarà solo per ragioni politiche”. Se questo non è mettere le mani avanti…

  5. @Claudio: concordo con la prima parte del tuo intervento… i manager fanno i… fatti propri indipendentemente da tutto. La questione Gancia non può fare eccezione. Sull’analisi del perché si sia arrivati a questo punto ho qualche dubbio. Manager miopi? Forse. Scelte sbagliate. Evidenti. Per quanto riguarda i politici, beh mi sembra un po’ come sparare sulla croce rossa, uno sport che oggi – e solo oggi – praticano tutti, salvo poi rivolgersi al potente o al potentino di turno quando si ha bisogno e “si tiene famiglia”. Comunque, tornando a bomba: quello del Balbo, se ti riferisci all’incontro tra studenti e i 6 industriali (o ex) del vino (Gancia, Bosca, Riccadonna, Coppo, Bocchino e Contratto) più che autoreferenzialità parlerei di testimonianza. Anche perché in quella occasione alcuni di loro anche spiegato perché hanno venduto (Riccadonna e Contratto). Quanto alle strategie del Comune di Canelli in fatto di comunicazione, sono d’accordo, non sono il massimo, ma sempre meglio di altri enti della provincia di Asti che in piena fiera della trifola propongono fiere della birra o pro loco astigiane che offrono menù a base crauti e wurstel. Infine un paio di appunti: a me “da porco a porco” è piacuto, tutte e due le edizioni e tagliarlo secondo me è un errore. E sul progetto Unesco sbagli (attenzione a non farsi contagiare dal solito disfattismo canellese): il riconoscimento è tutt’altro che fantomatico, anzi, per i tecnici il Piemonte Su è il pole position, prima, persino, di quelli della Champagne che sono ancora al palo… e sono in molti a crederci, per primi proprio quelli dell’Unesco che, secondo fonti più che autorevoli, hanno definito i paesaggi viticoli piemontesi i più belli del mondo. Fino alla primavera non avremo certezze sul riconoscimento, però, al di là del risultato, bisogna che prendiamo coscienza delle potenzialità di questa terra, altrimenti oltre ai russi e ai cinesi arriveranno (torneranno) anche i turchi…

  6. Chi lavora per grandi aziende sa benissimo che non occorre mai dare eccessivo valore a ciò che che gli AD dichiarano: tutto è funzionale alle strategie che nessuno conosce e si giura oggi per smentirsi clamorosamente domani. Solo gli sprovveduti si bevono tutto (e qui è il caso di dirlo).
    Quel che è davvero importante è che un altro pezzo di storia locale se ne va… fra giovani manager più attenti al budget e alla mondanità che alla tradizione e al territorio, fra politicanti locali che con i loro teatrini autoreferenziali (recentemente al teatro Balbo) parlando al presente elogiano Canelli come la “capitale dello spumante”, senza accorgersi (o forse sì?) che si tratta solo di un “amarcord” perché nel 2011 a anelli è rimasto poco o nulla di ciò che i più ricordano.
    Venti, trent’anni fa i cartelli stradali di benvenuto a Canelli riportavano prestigiosi e gradi nomi e richiamavano la fama del luogo. Oggi, tristemente, si è salutati da un a cartellone che reclamizza la città con un banale e deprimente “posto delle trifole”…
    Spero che i canellesi ragionino e che il comune opti per una strategia di comunicazione più intelligente, più seria e più attenta (sorvoliamo sul “Da porco a porco”) anche in previsione del sempre più fantomatico patrocinio Unesco. Ma c’è ancora qualcuno che ci crede?

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