Cappone in corsia? E chissenefrega

inserito il 29 Dicembre 2008

L’Asl, l’azienda sanitaria di Asti, ha annunciato ai quattro venti di avere inserito il cappone di San Damiano d’Asti, nel menù del pranzo di fine anno. Lo mangeranno i pazienti che lo possono mangiare, cioè quattro gatti, e i dipendenti del nosocomio, cioè alcune centinaia di addetti. L’amministrazione dell’Asl astigiana non è nuova a queste operazioni di marketing gastronomico. Mesi fa, in pompa magna, aveva annunciato l’inserimento di prodotti tipici nel menù ospedaliero. Molti, i soliti “coristi”, come è accaduto per il cappone sandamianese, hanno gridato al miracolo, hanno lodato l’intelligenza dei dirigenti sanitari, plaudito ad un menù d’Ospedale che guarda più al territorio che alle mode. È qui che il “sapore del Piemonte” diventa agro se non amaro. Ma dico! Ci vogliamo svegliare un po’ tutti!

Non si sta parlando di un hotel di charme con annesso ristorante stellato, ma di un ospedale dove la gente va a curarsi e che, a prescindere, dovrebbe, come fa, fornire pasti sani e in linea con le esigenze di cura del malato. Il resto è, per l’appunto, marketing cotto e mangiato, anzi dato in pasto, in un momento in cui il signor Mario, per avere un’ecografia all’ospedale di asti o in quello di Nizza Monferrato all’addome deve attendere dai tre ai cinque mesi. Ecco forse il signor Mario, in caso di ricovero in uno dei due ospedali citati, si accontenterebbe di mangiare un brodino fatto con il pollo Aia ottenendo in cambio esami e visite in tempi rapidi. Magari in una settimana, come accade nei centri privati convenzionati che non saranno presidi Slow Food ma funzionano e sono pagati dal Servizio Sanitario Nazionale. Lo stesso che paga i conti degli ospedali pubblici.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

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