Tutto è cominciato da inchieste giornalistiche che hanno alzato il velo su gravi episodi di sfruttamento del lavoro dei vendemmiatori stranieri nelle zone vitivinicole del Sud Piemonte, Astigiano, Albese e Roero su tutte. Poi sono venute le indagine delle Forze dell’Ordine che hanno scoperchiato ancora di più il pentolone facendo emergere lavoro nero, contratti in grigio e i sospetti di evasione. Quindi si sono mossi i sindacati con le bandiere, i camper, le dichiarazioni e i politici che hanno promesso nuove leggi, barriere contro lo sfruttamento, fondi per arginare i furbetti delal vignetta. Su tutto è montata l’indignazione generale moltiplicata dai media nazionali che han messo nel tritacarne tutto: lavoratori, imprese, vino, paesaggio, imprese. È l’atmosfera che si è respirata nel Piemonte del vino a settembre, per via del caporalato tra i raccoglitori macedoni, romeni e bulgari. Se ne è parlato ancora giovedì 12 novembre, ad Asti, nel corso di un’assemblea organizzata dalla Cgil. Sede: la sala consigliare della Provincia, ente a termine. E poco importa se il “padrone di casa”, cioè il presidente provinciale, è il sindaco di Canelli (molto contrario a campi di accoglienza e posizioni concilianti con la Cgil), città che ormai nessuno ricorda per essere stata la culla dello spumante italiano o il punto di partenza del progetto che ha fatto diventare i paesaggi vitivinicoli piemontesi il 50° sito Unesco. Tutti ricordano Canelli per quelle immagini dei bivacchi di fortuna costruiti dai vendemmiatori sfruttati, per i contratti fittizi con paghe da fame raccontati davanti alle telecamere. Già le telecamere. C’erano anche ad Asti. Per intervistare. certo. Ma anche per far vedere quello che è stato, perché la vendemmia 2015 è finita da un pezzo. Ma la vergogna no, quella rimane. Così prima che parlino la Camusso, gli altri sindacalisti Cgil, gli assessori regionali (l'”agricolo” Ferrero e la sua collega del Lavoro, Giovanna Pentenero), ecco il filmato della vergogna. Prima il buco nero canellese, con gli sfruttati e gli sfruttatori (connazionali, macedoni o bulgari) e poi i pensionati di Carmagnola che mangiano allegramente e legittimamente i peperoni della famosa fiera e se ne sbattono del tipo dell’Est morto nelle serre dei peperoni e rivestito alla meno peggio per accreditare un improbabile malore casalingo. Perché, dicono, era uno straniero e gli andava bene così. La memoria di “italiani brava gente” cancellata in un amen tra un involtino e una peperonata. L’effetto del video? Un pugno nello stomaco. Un conato di vomito. Quando si spengono le immagini non c’è brusio. Il pubblico è tra l’attonito e l’infastidito. I relatori di schierano. Tra loro, l’abbiamo detto, la Camusso che dirà della necessità di resuscitare gli elenchi comunali dei lavoratori agricoli, ma anche Giancarlo Gariglio di Slow Food che abbiamo intervistato e che ha scritto del caporalato in vigna come di una gramigna, di un cancro (leggete qui e qui) che si è allargato da Sud a Nord e che interessa, in varia misura, tutte le zone d’Italia dove si fa vino in modo intensivo; e Riccardo Coletti, il corrispondente de La Stampa che ha pubblicato inchieste sul campo e che SdP ha intervistato in esclusiva (qui). Che cosa è uscito dal convegno di Asti? Quello che ci si aspettava: poco o nulla. Dichiarazioni, proclami, assicurazioni, buoni propositi. Per lo meno s’è tenuta accesa la luce su uno dei peggiori episodi in capo agricolo degli ultimi anni. Anche perché oltre ai lavoratori sfruttati ci sono altre vittime di cui, anche ad Asti, non si è parlato: le aziende oneste che hanno sempre pagato il giusto e alla luce del sole, i viticoltori che hanno accolto i vendemmiatori stranieri come collaboratori, dividendo con loro non solo sudore e fatica ma anche pasti e bevande, risate e racconti famigliari. Questo sui media è venuto fuori molto poco. Perché non fa notizia. Ora c’è da augurarsi che, spento il tritacarne, si passi a costruire qualcosa di concreto che vada al di là delle parole, degli striscioni, del camper e ci riporti, finalmente, in uno stato di burocrazia zero e sconti fiscali per chi assume un vendemmiatore e magari gli offre anche vitto e alloggio; campi di accoglienza comunali aperti solo a chi ha contratti agricoli in regola e controllati; liste di lavoratori stranieri da cui possono attingere cooperative e singole aziende, vendemmia dopo vendemmia. È troppo? Forse, ma è tutto fattibile. Basta volerlo.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it) – foto e video di Vittorio Ubertone