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Cantine. Breve storia del farmacista innamorato del vino che, in terra monferrina, coltiva due vitigni rari e poco conosciuti: il Baratuciat e la Slarina

In Piemonte c’è un filo rosso che lega i farmacisti al mondo del vino, dal Barolo Chinato (inventato da un farmacista) alla Barbera (che ebbe ed ha farmacisti tra i suoi produttori), ora anche a due vitigni rari e poco conosciuti: il Bataruciat e la Slarina.

Il farmacista che ha legato il suo destino a questi vitigni e relativi vini si chiama Enrico Druetto (foto). La location nella quale lo incontriamo è la sua azienda vinicola di Alfiato Natta, Monferrato alessandrino, una manciata di chilometri dal confine con il Nord Astigiano. Qui la vigna si è diradata e di molto, complici crisi economiche ed esodi verso le fabbriche.

Druetto in zona ha la farmacia di famiglia, ma anche le vigne dei nonni dove, tra barbera e altre tipologie, crescono vitigni dimenticati come il bianco Baratuciat, che ancora ha la sua enclave naturale in Val di Susa, e la Slarina, uva a bacca nera imparentata con un altro vitigno “reduce”, l’Uvalino, che ha trovato nuova vita questa volta nel Sud dell’Astigiano, tra Costigliole d’Asti e Canelli.

La storia tra Enrico Duetto e i due vitigni è nota ed è stata raccontata.
Quello che, invece, è meno noto è come e perché uno che fa un altro mestiere si metta a fare il viticoltore e per di più di vitigni quasi scomparsi, sconosciuti ai più, con difficoltà di coltivazione e rese basse. Insomma una sfida.

La risposta del dottor Druetto è disarmante: «Avevo voglia di fare qualcosa di nuovo. Di uno stimolo lontano dalla routine di tutti i giorni. Ho guardato le vigne dei mie nonni ed è scoccata la scintilla».
Perfetto, ma non basta. C’entra anche un refolo di memoria personale.
Racconta Enrico Druetto: «Io dai mie nonni, in questa casa di Alfiano Natta (che è diventata Cantina, farà anche accoglienza ed è al centro di un lavoro di recupero e restauro ndr) ci stavo benissimo. Qui respiravo, mi divertivo, raccoglievo l’uva, cucinavo con mia nonna. Insomma vivevo».
Ricordi di bambino che restano indelebili anche se poi si cresce, di diventa farmacista, marito e padre di un paio di bambini.

Dunque la storia, che si può leggere anche qui, conduce Enrico Druetto a riportare in auge due vitigni individuati tra quelli ancora vegetavano tra i filari delle vigne dei nonni e a ottenerne vini molto particolari: un bianco da uve Baratuciat che da “montanare” della Val Susa provenienti da una vite sopravvissuta come l’ultimo dei Mohicani all’estinzione di tutta la sua tribù di vigne (sembra che non sia simile a nessun altro varietà conosciuta) si sono acclimatate benissimo sulla colline del Monferrato e ora danno un vino di finezza e corpo e con promesse di longevità davvero incredibili (c’è da sperare che il Piemonte la pianti di pensare di non essere terra di grandi bianchi); e un rosso da uve Slarina i cui acini somigliano a mirtilli, forse cugine dell’Uvalino, a tratti speziato e nebbioleggiante, ma originale e anarchico ben più di un’altra “testa balorda”, il Grignolino.

Nella sua Cantina, che è ancora un cantiere work in progress, Enrico Druetto parla e racconta come un fiume in piena seguendo una linea di pensiero galoppante. È l’atteggiamento tipico dell’innamorato cotto, di chi ha trovato una passione travolgente (dopo figlie e moglie s’intende) e alla fine è bello e positivo che ancora oggi ci si lasci affascinare così intensamente dalla terra, preservando la sua biodiversità, a sua essenza storica e naturale, lo spirito sociale e territoriale.
Del resto è la terra il lascito che ci è stato affidato da chi è venuto prima di noi e che abbiamo il dovere di lasciare a chi verrà dopo noi nel migliore modo possibile.

Filippo Larganà (filippo,largana@libero.it)

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