Giulio Bava è contitolare dell’azienda di famiglia, in quel di Cocconato, profondo Nord dell’Astigiano. Da pochi mesi è presidente del Consorzio di Tutela dell’Alta Langa docg, lo spumante brut metodo classico vinificato solo da uve chardonnay e pinot nero, coltivate tra Astigiano, Alessandrino e Cuneese, su colline di almeno 250 metri sul livello del mare. In questa intervista concessa a SdP parla del presente e del futuro di un vino che sta raccogliendo sempre più consensi di critica e di mercato. Una dozzina di aziende, 80 conferenti per altrettati ettari di vigneto. Un’enclave ridotta, quindi, ma che ha potenzialità e aspirazioni da grande spumante. Spiega Bava: «Lo spirito di Alta Langa è stato quello di dare dignità, oltre che reddito e lavoro, a vitigni che altrimenti sarebbero state abbandonati o sviliti. Il risultato è stato una grande metodo classico docg che ha già conquistato il suo spazio sul mercato italiano, attraverso i canali della ristorazione nella sua accezione più allagata, non solo locali stellati, quindi, ma tutti quei ristoranti che fanno tendenza, che piacciono al pubblico di giovani e meno giovani».
È chiaro, Bava parla di Alta Langa da tifoso. Tuttavia i numeri di questa “chicca enologica”, che si attestano attorno al mezzo milione di bottiglie, se non fanno paura a grandi colossi italiani delle bollicine come Prosecco, Asti e Franciacorta, disegnano il quadro preciso di un vino che vuole essere un esempio di selezione vinicola. «Lo dico con Carlin Petrini – annota ancora Bava -, l’Alta Langa è un atto agricolo perché unisce Case spumantiere, vignaioli, aziende vitivinicole in una sinergia virtuosa che ha un solo fine: fare un ottimo vino che piaccia a chi ha apprezza bere un bicchiere come si deve». Non c’è altro da dire.
Il resto del “Bava pensiero” nella video intervista realizzata con il contributo tecnico di Vittorio Ubertone.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)
L’intervista a Giulio Bava
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