La segnalazione è di un lettore che ha chiesto l’anonimato e che ad un bar di Barolo si è sentito offrire Prosecco e ha mangiato cibi dozzinali. Ecco la sua cronaca. Giorni fa ho accetto l’invito di alcuni amici stranieri per un tour di degustazioni in quel di Barolo. Partiamo verso mezzogiorno e dopo un aperitivo alla Fattoria di San Giuliano di Neive a base di un fantastico Arneis e un sorprendente Metodo Classico rosè carico da uve nebbiolo, decidiamo di fermarci a Barolo per uno spuntino.
La scelta cade su un grazioso bar con dehors nel centro del Paese, appena sotto il castello. All’ombra ci rilassiamo e, dopo pochi secondi, arriva una solerte cameriera che ci promone insalate miste e taglieri di salumi e formaggi.
Optiamo per secondi visto che a Neive abbiamo gustato un’ottima Robiola di Roccaverano dop di un casaro di Langa e uno spettacolare salame cotto di una macelleria locale. Ma qualcosa si stonato aleggia nell’aria.
Un paio di noi scelgono di pasteggiare con vino (siamo a Barolo!). «Bianco o rosso?» domanda la cameriera. Okkei ci sta, fa caldo, un bianco bello fresco è sempre beneaccetto. Però, che diamine, anche un calice di Barolo ci stava, o magari di Dolcetto o magari Barbera. Vabbè, lasciamo perdere – mi dico – non facciamo i soliti pistini. Poi capita l’incredibile.
Quando un amico straniero chiede quali siano i vini bianchi a disposizione la ripa, senza battere ciglio elenca: «Abbiamo Arneis, Chardonnay o Prosecco…». Prosecco?! A Barolo! Il neo governatore del Veneto, Luca Zaia, insieme alle maison piemontesi che imbottigliano e vendono bollicine venete, sarebbe contento. Io no. Sbotto: «No, il Prosecco no…». La cameriera mi guarda smarrita… i miei amici anche, poi un’amica belga taglia la testa al toro con tipico piglio femminile e ordina l’Arneis. La “crisi” è rientrata. Per il momento. Ma è un’illusione.
La sensazione di essere incappati nel solito locale italiano che rifila cibi dozzinali ai turisti sfruttando una cornice di tipicità e eccellenza è confermata dal fatto che la caraffa di Arnesi arriva in tavola senza nessuna indicazione della bottiglia da cui è stata versata, e pure da come ci vengono serviti i cosiddetti “taglieri”.
Intanto nessun tagliere di legno plana sulla nostra tavola. Salumi e formaggi sono adagiati su un tristissimo piatto bianco, stile raccolta a punti della Barilla. Sopra ci sono due fette di: salame e prosciutto crudo, lardo e pancetta insieme a tre pezzetti di formaggio, uno fortemente erborinato (gorgonzola?), un simil caprino (robiola?) e uno indefinibile (toma?). I salumi sono di plastica. Certo non fanno schifo, ma è roba da supermarket, senza gusto, con salatura e pepatura esagerate e profumi inesistenti.
Ma la cosa più tragicomica accade quando ad un nostro amico francese servono una insalata mista: lattuga, pomodoro e mozzarella insieme ad un cestino di plastica dove sono sistemati confezioni monodose di aceto balsamico (?) e olio (extravergine?) in stile fast food. Il tutto prodotto a… Piacenza. Mah…
Vorremmo protestare, dire che non si fa così, che noi che viviamo in Piemonte dovremmo accogliere meglio i turisti che visitano i luoghi simbolo delel nostre eccellenze agroalimentari, anche quando chiedono uno spuntino. La compagnia di nostri amici stranieri, però, è contenta anche così e quando facciamo notare le incongruenze di quello che ci hanno servito alzano le spalle con aria rassegnata. «C’est l’Italy. Ah, les italiens…».
È così che ci considerano un misto tra genialità e pressapochismo a cui si può perdonare quasi tutto in nome di quella fortunaccia che ci ha fatto nascere in uno dei luoghi più belli e amati del mondo. Ma fino a quando ci perdoneranno questi atteggiamenti da fanfaroni?
Meno male che dopo lo “spuntino” – non sappiamo quanto costato perché offerto da un amico di Marsiglia, ma qualsiasi prezzo sarebbe stato esorbitante davanti a tanta improvvisazione – si fa tappa da Dario Borgogno, titolare della Cavalier Bartolomeo di Castiglione Faletto dove tra Dolcetto d’Alba, Langhe rosso e tre eccezionali tipologie di Barolo ci siamo rifatti gusto e spirito. Ma l’amaro in bocca per un’accoglienza barolistica non all’altezza resta.
La storia del nostro lettore non necessita di ulteriori commenti. La giriamo pari pari a sindaco e amministratori comunali di Barolo che, tra l’atro, a breve dovrebbero tagliare il nastro del museo del vino allestito all’interno del castello e costato milioni di euro.
Volutamente non abbiamo fornito indicazioni più precise sul locale in questione. È ora che il comparto corra ai riparo, senza eccezioni o zone franche. Tutti devono farsi un esame di coscienza perché è chiaro che ogni sforzo, anche milionario, rischia di essere vanificato da comportamenti improvvisati e dannosi.
Sdp